Da creativo bohemienne a celebrità da copertina: oggi gli “artistar” hanno trasformato il ruolo dell’artista. Tra scandali, gossip e politicamente scorretto, vi raccontiamo con tre esempi come il nome dell’artista diventa un brand che fa vendere!
Negli ultimi anni siamo stati bombardati dall’ “intrattenimento artistico”, in grado di trasformare il patrimonio culturale in uno spettacolo mediatico che fa notizia. In questo scenario anche il ruolo dell’artista è cambiato, assumendo un’importanza inedita. Adottando le strategie di marketing tipiche dei brand, da semplice artigiano l’artista è diventato una star del sistema, capace non solo di far parlare di sé a livello globale, ma anche di determinare cosa è arte e cosa non lo è. In questo articolo passiamo in rassegna i 3 principali “artistar”che hanno fatto del proprio nome un brand, in grado di generare profitto e raggiungere fama a livello mondiale.
Damien Hirst è l’enfant terrible dell’arte contemporanea, capace di dar vita ad un teschio da 50 milioni di dollari (“For the love of god”). La poetica di Hirst sfida il concetto di morale e si nutre dello scandalo. Hirst prima sconvolge attraverso la spettacolarizzazione pensiamo ai suoi animali morti sotto formaldeide, o alla serie “Spot paintings”, costituita da tele cromatiche realizzate non da lui ma bensì dai suoi collaboratori. “Damien Hirst non è un artista” sostiene David Hockney, secondo cui Hirst non sarebbe degno di tal nomea a causa della mancata autorialità delle sue opere. Come se a Hirst importasse qualcosa…Facendo attenzione a rispondere a tutti i cliché del creativo bohemienne comunemente inteso, creando scalpore con le sue opere visivamente forti e proponendosi con progetti creativi extra-artistici (come la creazione del ristorante Pharmacy), il nome di Damien Hirst si è trasformato in un marchio di fabbrica, in grado di attirare folle di visitatori e l’attenzione di collezionisti di tutto il mondo.
Non servono introduzioni per l’artista vivente più pagato del mondo dell’arte. Le opere di Jeff Koons colpiscono perché parlano il linguaggio del quotidiano, attraverso uno stile Pop-Kitsh che rende Koons riconoscibile all’istante. Ma siamo sicuri che Jeff Koons sia tanto ambito per la qualità della sua arte o c’è dell’altro? Indubbiamente ciò che ha reso Koons una star non è stato solo il suo inedito percorso artistico, ma anche la capacità di rendere la sua stessa vita un’opera d’arte, in grado di attirare la curiosità anche dei meno appassionati d’arte. Pensiamo al suo (breve) matrimonio con Ilona Staller, in arte Cicciolina: la notizia ha fatto il giro del mondo, rendendolo un vero personaggio mediatico acclamato dal gossip. Sulla loro relazione Koons ha perfino realizzato la serie fotografica “Made in Haven”, che racconta proprio l’aspetto più erotico e sensuale della loro storia. A celebrare (e arricchire) Jeff Koons sono le stesse dinamiche su cui lui strategicamente ironizza con il suo modo di fare arte: ovvero il capitalismo, la società dei consumi e dell’american way of life. Non a caso The Spectator lo definisce più “un brand manager che un’anima creativa tormentata”.
Conoscere i meccanismi del sistema dell’arte per raggirarli con un sottile ed estremamente intelligente spirito provocatorio: questo l’obiettivo di Maurizio Cattelan. I lavori di Cattelan, tanto criticati quanto poco compresi, sono un invito a non prendersi troppo sul serio perché così si finisce col diventare cinici, freddi e distaccati mentre l’arte ha un solo, grande obiettivo: suscitare emozioni. Forse è per questo che le opere di Cattelan riescono a catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica così velocemente. Pensiamo al 2000 con la presentazione di Papa Giovanni Paolo II abbattuto da un meteorite alla Royal Accademy di Londra. Oppure a “L.o.v.e.”, un enorme dito medio posto davanti alla Borsa di Milano, o “America”, il cesso d’oro che rappresenta la concretizzazione democratica del sogno americano. Ma il colpo di genio, proprio del vero show man o (business man) arriva nel 2011, quando Cattelan annuncia di interrompere la sua carriera; neanche a dirlo, improvvisamente le sue valutazioni schizzano verso l’alto. Poi arriva Art Basel 2019, dove Cattelan attacca una banana al muro della Galerie Perrotin con lo scotch – il mondo dei media impazzisce! Insomma, ciò che ha reso Maurizio Cattelan una vera e propria “artistar”, sempre più richiesto dai collezionisti, istituzioni e brand per collaborazioni commerciali, è proprio la sua capacità di parlare un linguaggio pungente, “politicamente scorretto”, ma universale, in grado di attirare l’attenzione dei mass media e avvicinare all’arte anche i non addetti.