Accessori e design come espressioni identitarie. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri alla Fondazione ICA

Lonely Are All Bridges scrive la poetessa austriaca Ingeborg Bachmann nel 1953, all’interno della sua prima raccolta di poesie Die gestundete Zeit – Il tempo sospeso. 

Ed è proprio da questo verso che nasce l’omonima mostra presentata fino al 15 marzo 2025 a Fondazione ICA Milano. Curata da Maurizio Cattelan e Marta Papini, l’esposizione mette in dialogo i lavori di Birgit Jürgenssen (Vienna, 1949 – 2003) e Cinzia Ruggeri (Milano, 1942 – 2019), due artiste che non si sono mai incontrate di persona ma che condividono tematiche legate al corpo, all’identità e alla trasformazione, affrontando soprattutto la questione del ruolo della donna nella società. 

Estensione e affondo di una mostra presentata a Vienna nel 2021 presso la Galerie Hubert Winter, Lonely Are All Bridges, ospita un numero più ampio di opere rispetto all’edizione viennese, evidenziando nuovi punti d’incontro nelle pratiche delle due artiste, come l’eredità proveniente dal Surrealismo e Dadaismo, la fascinazione per il mondo animale e vegetale e un approfondimento sulla figura della donna nell’ambiente domestico degli anni Settanta e Ottanta, spesso inquadrato dalle due artiste attraverso una lente ironico–satirica.  

Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, Installation view, a cura di / curated by Maurizio Cattelan e/and Marta Papini, Fondazione ICA Milano, Milano. Ph. Andrea Rossetti

Con l’obiettivo di creare una nuova figura dell’uomo e della donna, Jürgenssen e Ruggeri celebrano un felice matrimonio negli spazi della Fondazione milanese. Come si fossero conosciute in vita e reciprocamente stimate, le due artiste sembra quasi collaborino alla costruzione di un discorso comune. Accomunate anche dal fascino verso l’ornamento e l’accessorio, interpretati come estensione del corpo, questi diventano non solo strumenti di espressione della propria persona ma anche mezzi di conquista del proprio spazio, espedienti per una rivendicazione personale. 

Entrambe nate alla fine degli anni Quaranta e formatesi negli anni Sessanta, hanno vissuto e lavorato in due paesi molto diversi ma comunque accomunati da un radicale sessismo, contro il quale le due artiste combattevano in un’ottica femminista. Rifiutando d’essere incanalate in una particolare definizione, hanno sempre lavorato in modo molto libero e anticonvenzionale.

Birgit Jürgenssen, inizialmente poco conosciuta fuori dall’Austria per la sua riservatezza, ha infatti realizzato opere con medium diversi, come fotografie, disegni, dipinti, sculture e abbigliamento, il tutto tra i costumi conservatori della borghesia autriaca. Le sue opere sono vicine al mondo della psicanalisi e del surrealismo, osservandole ci troviamo come immersi in una dimensione onirica.

Birgit Jurgenssen Housewives Work 1973 © Estate Birgit Jurgenssen Bildrecht Vienna 2025 Courtesy Galerie Hubert Winter

Un esempio è l’opera Housewives’ work del 1973, tra le opere più emblematiche in mostra. Si tratta di un semplice disegno a matita colorata su carta in cui ad un primo sguardo, sembra di osservare una tradizionale scena domestica, in cui una donna stira le camicie al marito. Subito ci accorgiamo però che qualcosa non torna. Nella tranquillità più totale di una casa dai toni pastello, la donna sta stirando suo marito, prendendo alla lettera le parole pronunciate dalla rivoluzionaria belga Théroigne de Méricourt, già durante la rivoluzione francese: “È tempo che le donne contrastino la vergognosa incompetenza in cui l’ignoranza, l’orgoglio e l’ingiustizia maschili le ha per così lungo tempo tenute prigioniere.” È lampante l’ironia del disegno, forse sarebbe un’esagerazione affermare che si tratti di black humor ma sicuramente ci si avvicina. 

A 14 anni ricevetti la mia prima macchina fotografica semiautomatica e fotografai quasi esclusivamente piccoli oggetti che avevo creato io stessa in precedenza” racconta la stessa Birgit. Fin da bambina aveva infatti il sogno di diventare una grande artista. Nel 1972 inizia a scattare fotografie artistiche in bianco e nero da autodidatta, installando una camera oscura nel suo studio. Due anni dopo Jürgenssen, sostenendo che spesso la donna è oggetto d’arte ma che raramente e con riluttanza può mostrare il suo lavoro, propone alla casa editrice DuMont di pubblicare una miscellanea sulle artiste troppo spesso ignorate, proposta che le viene respinta due volte. Nonostante le numerose difficoltà incontrate sul suo cammino in merito alle tematiche del suo lavoro, è oggi una delle artiste più importanti nel panorama femminista. 

Birgit Jürgenssen Untitled 1977 78 © Estate Birgit Jürgenssen Bildrecht Vienna 2025 Courtesy Galerie Hubert Winter

Il percorso di Lonely Are All Bridges si apre proprio con un autoritratto dell’artista, esposto come gigantografia. Intitolato Untitled, del 1977/78, Jürgenssen si ritrae mentre indossa un copricapo con aria maestosa ma che è in realtà un topolino, forse a indicare quanto si senta piccola nel mondo. Untitled dialoga con l’opera Chef + Remy, realizzata da Cinzia Ruggeri nel 2018, che potrebbe essere una citazione al cartone animato Ratatouille. L’opera è infatti una tela composta da un cappello da chef, guanti bianchi, una piuma di fagiano, ossi di pollo e un topolino giocattolo. 

Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, Installation view, a cura di / curated by Maurizio Cattelan e/and Marta Papini, Fondazione ICA Milano, Milano. Ph. Andrea Rossetti

Cinzia Ruggeri inizia la sua carriera a soli 17 anni, quando nel 1960 tiene la sua prima mostra alla Galleria del Prisma di Milano. Estremamente affascinata dalla trasgressione dei limiti tra diverse discipline, anche lei come Jürgenssen segue una pratica artistica multidisciplinare e poco verticale, anche se col tempo si è approciata molto di più al mondo del design.

Lavorando in modo trasversale tra arte e editoria, si è orientata verso il design del prodotto, collaborando con lo Studio Alchimia, creando pezzi unici piuttosto che produzioni seriali e trasformando così oggetti quotidiani in vere e proprie opere d’arte. Oltre a questo tipo di lavori portava avanti parallelamente, anche una produzione in quello che oggi chiameremmo fashion design. Nel 1977 realizza una sua collezione composta da abiti con cristalli liquidi che cambiavano colore in base al calore corporeo o alla luce LED e con altre innovazioni decisamente avanguardistiche. Le sue sfilate erano infatti famose per essere considerate dei veri e propri eventi teatrali, in cui la spettacolarità regnava sovrana. 

Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, Installation view, a cura di / curated by Maurizio Cattelan e/and Marta Papini, Fondazione ICA Milano, Milano. Ph. Andrea Rossetti

Esposti ad ICA troviamo alcuni dei suoi pezzi di design intramontabili, come l’opera Colomba del 1990, una scultura-divano che rappresenta la sagoma dell’ombra di un uomo, intenta a simulare la figura di una colomba con le mani. Affianco a Colomba troviamo, nella stessa stanza, una serie di fotografie di Jürgenssen: Untitled (Body Projection), del 1988, in cui l’artista dà vita ad un gioco di luci e ombre in cui esplora la possibilità di mutazioni delle proprie mani, sullo sfondo della proiezione di un cielo stellato. I due lavori delle artiste sembrano come completarsi a vicenda, quasi fossero uno il proseguimento dell’altro, riuscendo a sviluppare connessioni visive e concettuali. 

Importante è sottolineare come la mostra non segua un percorso filologico e cronologico ma piuttosto relazionale, in cui sono i lavori stessi a trovare i propri compagni per assonanza tematica o teorica. 

Parlando di Lonely Are All Bridges non si può non citare Untitled (Improvisation), fotografia di Birgit Jürgenssen realizzata nel 1976, di cui in mostra troviamo un ingrandimento. Qui dall’immagine di una mano spunta un tacco, come fosse una protesi, una fusione tra un’elegante décolleté e la parte di un corpo. Non solo surreale ma questo scatto è anche conturbante, in cui la moda diventa parte integrante dell’essere umano. Affianco a Untitled (Improvisation), è esposta una lunga fila di paia di scarpe disegnate da Cinzia Ruggeri, tutte diverse tra loro si rivolgono verso il muro, evocando l’immagine di una fila di persone voltate verso la parete e suggerendo il momento di attesa che anticipa un atto punitivo o di espiazione. 

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