Alfredo Pirri, “l’opera, espandendosi, diventa atmosferica”. Anticipazioni sulla prossima mostra a Bologna

“La mostra è complessa: le foto non rendono”, mi avverte Alfredo Pirri al telefono. L’artista sta andando di corsa a dare gli ultimi ritocchi a Palazzo Boncompagni, quattro minuti appena da San Petronio, nel cuore di Bologna, perché è qui che dal 4 febbraio al 30 aprile presenta il progetto espositivo ‘Alfredo Pirri. Ritratto di Palazzo’ ideato per gli spazi immensi della cinquecentesca dimora bolognese. A cura di Lorenzo Balbi e Silvia Evangelisti, presenta una quarantina di opere, molte site-specific e alcune antologiche in simbiosi con l’ambiente. Torneremo a parlarne, qui su Artuu Magazine: nel frattempo, ecco quel che ci ha raccontato Alfredo Pirri (Cosenza, 1957), che da sempre si muove tra materia e luce, tra pittura e architettura. 

Alfredo Pirri, che effetto fa “sfidare” uno spazio così connotato, un luogo immenso che ha dedicato mostre anche a Michelangelo Pistoletto e Mimmo Paladino?

Palazzo Boncompagni è uno spazio straordinario e composito fatto di ambienti chiusi, aperti e semi-aperti: offre svariate possibilità di interpretazione. Sono abituato a realizzare mostre in relazione allo spazio: mi piace il rapporto di intimità che si crea con i luoghi. Lo chiamo il mio “effetto simbiosi” perché l’opera, che ha un valore specifico in sé, espandendosi oltre sé tessa, diventa atmosferica. Questi sono tempi in cui c’è bisogno di stabilire connessioni. 

Le sue opere si nutrono di luce. 

Lavoro con la luce per far emergere le ombre, anche quelle colorate. Amo ragionare sui contrasti per scovare il “dramma dell’ombra”. Non mi interessa né mi appartiene l’idea di luce astratta o divina che è dappertutto e che stordisce o impressiona. 

E che cosa cerca, dunque? 

La luce che scolpisce, capace di creare contrasti netti e drammatici. Mi piace la luce teatrale. E tengo a mente ciò che diceva Jannis Kounellis…

Cioè?

Che ogni mostra in fondo è una cavità teatrale, un ambiente chiuso in cui si mette in scena qualcosa. 

Anche questo ‘Ritratto di Palazzo’ è una sorta di pièce teatrale?

Direi un “Ritratto di Palazzo con Signora”: nell’installazione “Passi”, che si trova nella sala papale con tutti quegli splendidi affreschi, vediamo camminare insieme a me la proprietaria di Palazzo Boncompagni, Paola Pizzighini Benelli: le prospettive sono capovolte, le visioni sono rotte da un pavimento di specchi frantumati e tutto segue dei tempi teatrali. La definisco una mostra circolare: si può percorrere in varie direzioni, tra interventi site-specific e opere del passato. 

La mostra tocca anche un ambiente particolare che è stato chiamato la Boncompagnina. Di che cosa si tratta?

Dopo un’infilata di sale enormi, con un apparato decorativo lussuoso, abbiamo aperto tre nuove stanze più piccole, al piano terra, per la prima volta restituite all’uso espositivo. Un tempo c’erano gli archivi di Palazzo Boncompagni e anche io espongo un archivio: il mio.

Un autoritratto in divenire?

Sono oltre 1500 documenti, ci sono tante foto, progetti, disegni preparatori, cataloghi, archivi, manifesti: compongono un’installazione che ho voluto chiamare RWD-FWD” che è un’opera in progress, per la prima volta esposta. La questione dell’archivio è delicata per ogni artista.

E lei come la gestisce?

Ho iniziato prestissimo ad archiviare su carta le foto degli allestimenti delle mostre, ma ho capito quasi subito che la stampa fotografica non bastava, bisognava cercare altre fome e così ho accumulato disegni, modellini. Sto cercando di plasmare qualcosa che possa rimanere anche in futuro, indipendentemente da me.

Lei vive e lavora a Roma: che rapporto ha con Bologna?

Per la mia generazione, che ha vissuto in prima persona i fatti politici della fine degli anni Settanta, Bologna è stata capitale sociale, politica e spirituale oserei dire. Come tutti i giovani artisti del tempo, la frequentavo con avidità perché sapeva esprimere personalità incredibili come Francesca Alinovi o progetti culturali che erano dei fari, come quando Carmelo Bene si mise a recitare le sue lezioni dantesche dalla Torre degli Asinelli, a un anno dalla strage alla stazione. Ho poi ricordi legati al genio di Andrea Pazienza e a tanto altro. Per me Bologna era la capacità di sperimentazione e spero, con questo mio progetto, di averla un po’ restituita alla città. Riflettevo sul significato di fare mostre, oggi…

E…?

Sembra che in questo nostro tempo non ci sia più spazio per sperimentare, ma solo per celebrare. Non va bene.

Tra pochi giorni, dal 6 al 9 febbraio, Bologna ospita il tradizionale appuntamento con Arte Fiera: come vede il mercato e il collezionismo italiano?

Il nostro Paese si caratterizza per un una discreta presenza di persone interessate all’arte che la seguono, la apprezzano, la comprano. Non abbiamo i big che mettono in piedi strutture magniloquenti come all’estero, ma piccoli collezionisti che amano ciò che acquistano e, soprattutto, avvertono una forma di responsabilità che altrove, nel giro dell’arte dei grossi numeri, si è persa. I veri collezionisti sanno di essere solo custodi momentanei di un’opera d’arte e non proprietari: l’arte appartiene a tutti. 

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