Apple Cider Vinegar, il fascino tossico dell’apparenza. La recensione

Nel vorticoso bailamme del nostro tempo, la notorietà si consuma con la rapidità di un battito d’ali. Il nostro presente digitale non concede attimi di gloria ma un perpetuo rincorrersi di volti e voci, un profluvio ininterrotto di influencer, guru improvvisati e creatori di contenuti, impegnati in una bulimica esibizione di sé. In questa cacofonia di immagini filtrate e parole vuote, l’autentica conoscenza si assottiglia fino a scomparire, sommersa da un’onda anomala di narcisismo e disinformazione.

Emblematica di questa deriva è la storia di Belle Gibson, figura centrale della miniserie Apple Cider Vinegar, disponibile su Netflix dal 6 febbraio. Interpretata da una magistrale Kaitlyn Dever, Belle Gibson incarna il volto più inquietante dell’era social. Agli albori di Instagram, si fece portavoce di uno stile di vita sano e alternativo, catalizzando attorno a sé un’audience affascinata dalla sua apparente forza. Il fulcro della sua ascesa fu una tragica menzogna: la battaglia contro un tumore al cervello, mai realmente diagnosticato ma abilmente raccontato per suscitare empatia e consenso. Una storia perfetta, destinata a sedurre un pubblico sempre più incline a credere nelle narrazioni personalizzate piuttosto che nei dati di fatto.

La miniserie ripercorre il cammino di Belle, dal successo dell’app The Whole Pantry (tanto influente da guadagnarsi il plauso di Apple) all’incontro con Milla Blake, giovane affetta da un liposarcoma pleomorfo, che rifiuta le cure mediche in favore delle sedicenti terapie naturali promosse dalla stessa Belle. Un dramma che si dipana in sei episodi densi e stratificati, dove il fascino tossico della protagonista si sgretola sotto il peso delle sue stesse menzogne.

Kaitlyn Dever offre un’interpretazione di straordinaria intensità, restituendo la figura di Belle Gibson nella sua disturbante ambivalenza. Da un lato, la truffatrice calcolatrice e manipolatrice; dall’altro, un’anima tormentata, forse affetta dalla sindrome di Münchhausen, spinta dall’irrefrenabile bisogno di attirare l’attenzione e di costruire attorno a sé un’aura di martirio e redenzione. La sua capacità di circuire gli altri non conosce limiti: ne è vittima Clive (Ashley Zukerman), uomo introverso e vulnerabile che finisce per diventare, suo malgrado, ingranaggio essenziale del castello di menzogne tessuto da Belle.

Il racconto si sviluppa tra continui salti temporali che scandagliano il progressivo disfacimento dell’impero di Gibson. L’intuizione della creatrice Samantha Strauss e del regista Jeffrey Walker è quella di ampliare il focus oltre la vicenda individuale, trasformando Apple Cider Vinegar in una disamina della moderna fabbrica dell’influenza. Il loro sguardo si posa sul giornalismo d’inchiesta, unico baluardo contro la proliferazione incontrollata di fake news e figure carismatiche prive di sostanza.

Così, il sorriso radioso di Belle Gibson si trasforma in una smorfia tesa, mentre la sua parabola discendente mette a nudo un sistema costruito su una seducente apparenza priva di autentico valore. La serie evidenzia come la società odierna sia incline a venerare chi si mostra in modo più accattivante, piuttosto che chi offre un sapere fondato sulla realtà. E nel farlo, lancia un monito dolorosamente attuale: il pericolo non risiede solo nei truffatori, ma nella nostra disposizione a lasciarci ingannare, nella nostra costante ricerca di rassicurazioni facili e risposte seducenti.

Apple Cider Vinegar non è solo la cronaca di una bugia, ma la testimonianza di un’epoca in cui la realtà è spesso meno attraente della sua rappresentazione. E forse, proprio per questo, oggi più che mai dovremmo esercitare lo spirito critico con la stessa urgenza con cui scorriamo il nostro feed.

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