L’infanzia e il battesimo nell’arte sono i temi che quest’anno il Comune di Milano ha scelto per una “mostra diffusa” sul territorio cittadino che durerà fino al 5 gennaio, e che coinvolge le biblioteche di quartiere e che vedrà l’esposizione di importanti opere di autori dell’Ottocento e primo Novecento, tutte provenienti dalla Galleria d’Arte Moderna e dal Museo del Novecento. Tra gli autori, molte figure di spicco dell’arte del periodo a cavallo tra I due secoli, come Francesco Hayez con La Vergine, Carlo Carrà con Due Figure, Gaetano Previati con una straordinaria Maternità, Achille Funi con Ritratto di bambina e Bertel Thorvaldsen con La Madonna col Bambino e San Giovannino. Ma il “piatto forte”, esposto in Sala Alessi del Comune di Milano, è il Battesimo di Cristo, capolavoro di Pietro Vannucci detto il Perugino, proveniente dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, già parte del polittico della chiesa di Sant’Agostino a Perugia.
Ecco, in 9 brevi schede, i quadri che si possono visitare a Milano fino al 14 gennaio 2024.
1. Il Perugino, Battesimo di Cristo (Comune di Milano, Sala Alessi)
Il Battesimo di Cristo, una delle tavole principali del Polittico di Sant’Agostino, proveniente dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, è un’opera incompiuta del pittore rinascimentale Pietro Vannucci, conosciuto come il Perugino. Il Battesimo è un esempio straordinario dello stile e della maestria del Perugino. Dipinto nelle prime fasi del lavoro, presenta un disegno preciso, un modellato dettagliato e colori vividi, esprimendo la sensibilità artistica e l’abilità tecnica del pittore. Il dipinto è parte di un polittico monumentale commissionato nel 1502 dai frati agostiniani di Perugia per la chiesa di Sant’Agostino.
Il polittico avrebbe dovuto completare una grande struttura lignea, che includeva un’ampia varietà di pannelli dipinti. Ma nel corso dei secoli, molte tavole andarono disperse, e alcune finirono in collezioni private o musei in giro per il mondo. Tuttavia, alla morte del Perugino nel 1523, l’opera rimase incompleta. Nonostante il lungo impegno e le varie trattative tra l’artista e i committenti, il polittico non fu mai finito completamente.
La composizione vede i due angeli in volo circondati da cherubini, con in alto, al centro, in una perfetta simmetria, la colomba dello Spirito Santo. Sulle sponde del fiume, altri due angeli mettono in risalto il nucleo della composizione, ossia Cristo e San Giovanni Battista. Il secondo, abbigliato da un mantello porpora, con un piccolo recipiente versa l’acqua su Cristo, che accoglie il rito a braccia giunte.
Le due figure centrali nel dipinto si discostano dai canoni tradizionali. I lineamenti delicati e quasi idealizzati, le membra tratteggiate morbidamente e gli sguardi dolci, paiono muoversi leggeri sull’acqua, avvolti da tonalità tenui, caratteristiche della fase artistica più matura del pittore. Questa composizione non solo evoca una bellezza incantevole ma incarna anche un superbo esempio di prospettiva rinascimentale, conferendo al dipinto una grande eleganza ma soprattutto un esempio di perfezione formale che situa il quadro tra i grandi capolavori del Rinascimento.
2. Francesco Hayez, La Vergine (Municipio 3, Biblioteca Valvassori Peroni)
ll dipinto La Vergine di Francesco Hayez, eseguito nel 1864 e ospitato nella Galleria d’Arte Moderna di Milano, presenta la figura di una giovane Maria Vergine che rivolge lo sguardo verso il basso con umiltà, circondata da una luce divina che irradia il suo capo. I suoi capelli sono velati da un panneggio bianco, che cade delicatamente coprendo l’abito rosso che si intravede appena sotto al velo.
La figura della Vergine emerge vivacemente dallo sfondo scuro, richiamando lo stile tipico della tradizione veneta, ispirato anche dalla maestria di Tiziano. Hayez adotta lo sfondo neutro dietro la figura, tipico dei ritratti veneziani rinascimentali. Quest’opera rappresenta la capacità di Hayez nell’esplorare le profonde sfumature psicologiche che si intravedono dietro l’iconografia tradizionale, trasmettendole abilmente sulla tela. L’opera testimonia l’adesione dell’artista ai principi del Romanticismo, in cui la pittura non cerca di celebrare l’ideale neoclassico della bellezza, ma piuttosto di commuovere e coinvolgere gli spettatori. La profondità emotiva del dipinto riflette l’adesione dell’artista al Romanticismo, dove la pittura non mira a rappresentare l’ideale neoclassico della bellezza, ma piuttosto a emozionare e coinvolgere l’osservatore. La datazione del dipinto e l’atmosfera sospesa che lo avvolge conducono agli ultimi anni di produzione dell’artista, legati alla malinconia risorgimentale, evidenziando un’apparente distanza dal genere storico che l’aveva precedentemente caratterizzato.
3. (copia da) Giovanni Carnovali detto il Piccio, Sacra Famiglia (Municipio 6, Biblioteca Sant’Ambrogio)
La tela raffigurante la “Sacra Famiglia” presente alla Biblioteca Sant’Ambrogio, fu donata alla Galleria d’Arte Moderna da Nedda Mieli Grassi, vedova dell’imprenditore e collezionista Carlo Grassi, nel 1956. L’opera non è in realtà un dipinto autentico di Giovanni Carnovali detto il Piccio, ma una sua copia ottocentesca, peraltro eseguita con rara maestria, tra il 1868 e il 1870. Oggi è ospitata alla Galleria d’Arte Moderna di Milano.
La scena presenta una coppia di angeli e San Giuseppe emergere da uno sfondo montano, mentre i loro sguardi sono rivolti con affetto verso il centro della composizione, dove la figura centrale è la più limpida raffigurazione della maternità cristiana. Al centro, la Vergine Maria tiene dolcemente tra le braccia il Bambin Gesù, addormentato e appoggiato alla sua spalla sinistra. La Madonna, contrariamente agli altri soggetti, non guarda il bambino coricato sulle sue ginocchia, ma, con un’espressione lieve, volge lo sguardo altrove. Le opere raffiguranti la Vergine e Gesù bambino di Carnovali erano numerose, e diverse furono le repliche da parte di altri artisti che ne compresero l’originalità. La tecnica pittorica densa e le pennellate suggestive vennero studiate e reinterpretate in molte opere a lungo considerate come autentiche.
4. Angelo Dall’Oca Bianca, Amore materno (Municipio 8, Biblioteca Gallaratese)
Dpinta nel 1934, Amore materno è un piccolo esempio, estremamente sentito, di pittura di genere, seppur caratterizzato da qualche eccessiva ingenuità e da un retaggio ancora divisionista. Custodita nella Galleria d’Arte Moderna di Milano, incorniciata da una cornice coeva, essa rappresenta una scena di maternità: una donna tiene amorevolmente tra le braccia il suo bambino. Lo sguardo gioioso della madre e l’espressione di serenità che pervade la scena, in contrasto con il movimento della pianta, che pare scossa dal vento, e dallo sfondo composto da nuvole bianche, dal tono quasi astratto, conferiscono a quest’opera una sensazione di calma e gioia. La velocità dell’esecuzione sembra sfociare a tratti in un certo manierismo. L’opera è prevalentemente dominata da una tavolozza blu, utilizzata come tonalità principale dall’artista. Questa scelta monocromatica permette agli altri colori, come il rosa dei fiori sull’albero e il bianco impiegato sia come elemento espressivo per le ombre sia come tonalità per alcuni dettagli, come gli indumenti e le line dei visi e dei corpi dei due protagonisti, di emergere in modo nitido svettando sulla tela.
L’autore di questa rappresentazione è Angelo Dall’Oca Bianca, rinomato pittore italiano vissuto tra il 1858 e il 1942. Dall’Oca Bianca nacque a Verona, proveniente da umili origini. Scoprì la passione per l’arte dopo un periodo di apprendistato come imbianchino. La sua carriera lo portò a esporre opere di grande successo a Venezia, Roma e in musei prestigiosi, ottenendo riconoscimenti sia in Italia che all’estero. Durante gli ultimi anni, si dedicò a mostre locali a Verona e attività filantropiche, donando il suo patrimonio alla città. La sua pittura è caratterizzata da una profonda espressione di serenità e gioia, non esente da una certa convenzionalità.
5. Carlo Carrà, Due figure (Municipio 5, Biblioteca Fra Cristoforo)
La tela, dipinta nel 1950 da Carlo Carrà e ospitata nel Museo del Novecento di Milano, ritrae due figure femminili in una scena estremamente sintetica ed essenziale, quasi religiosa: una giovane in piedi e una donna più anziana seduta, con il capo velato, si trovano in uno spazio definito soltanto dal pavimento e da un muro, creando un momento di profonda connessione e di grande spiritualità. La luce chiara e la gamma cromatica neutra richiamano la familiarità di Carrà con l’affresco. Nel catalogo della mostra “50 anni di pittura italiana nella collezione Boschi-Di Stefano”, presentata a Palazzo Reale nel 1974, le due figure dipinte da Carlo Carrà vengono identificate come madre e figlia. L’ambientazione senza tempo della scena, le vesti delle figure e la presenza del vaso come unico elemento decorativo, potrebbero suggerire un possibile contesto biblico o evangelico, forse raffigurando Maria e sua madre Anna. Quest’opera rappresenta l’abilità matura di Carrà, che nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale torna a esplorare temi e soggetti precedenti, consolidando la sua ricerca artistica. Gli influssi di maestri come Paolo Uccello, Piero della Francesca e Masaccio, e soprattutto l’ispirazione di Giotto, rimangono saldi punti di riferimento nella pratica artistica di Carrà.
6. Gaetano Previati, Maternità (Municipio 4, Biblioteca Oglio)
Gaetano Previati dipinse “Maternità” tra il 1885 e il 1886, oggi custodita nella Galleria d’Arte Moderna di Milano. Questo dipinto rappresenta un bozzetto preparatorio per l’opera omonima, assai più celebre e di dimensioni monumentali, presentata nel 1891 alla Triennale milanese. La scena si concentra sulla figura materna, dolcemente impegnata a sostenere il figlio sulle ginocchia, mentre è circondata dall’adorazione degli angeli.
Tuttavia, Previati, non soddisfatto della prima versione, apportò modifiche significative nella tela finale. In questa versione, la Vergine Maria è ritratta mentre allatta il bambino, creando un’atmosfera più intima e affettuosa. Quest’opera testimonia il confronto artistico di Previati con Luigi Conconi, suo collega di studio fino al 1885, evidenziando un uso distintivo di luce e ombra e uno stile pittorico emotivamente coinvolgente, tipico del movimento della Scapigliatura.
Il tema della maternità e della devozione sarà successivamente ripreso dall’artista nella “Madonna dei gigli” nel 1893. Questa tela, datata ai primi anni della produzione di Previati e presumibilmente realizzata durante il periodo in cui dipinse “Fumatrici di hashish” nel 1887, è stata acquisita dalla Galleria d’Arte Moderna grazie al lascito testamentario di Isaia Zancone nel 1930.
7. Bertel Thorvaldsen, Madonna col Bambino e San Giovannino (Municipio 7, Biblioteca di Baggio)
Questo gesso è parte di una serie di quattro opere, tra cui Il battesimo nel Giordano, Gesù coi fanciulli e Tre angioletti in volo, modellati da Bertel Thorvaldsen, uno dei più grandi scultori neoclassici assieme a Canova, tra il 1805 e il 1806. Questi quattro rilievi furono originariamente realizzati per il fonte battesimale di Brahetrolleborg e successivamente replicati per diverse chiese, tra cui la cattedrale di Rejkiavik e la chiesa dello Spirito Santo nella città natale dello scultore.
Questo specifico gesso giunse nelle collezioni civiche di Milano grazie alla donazione dell’artista Pompeo Marchesi, il quale lasciò la propria collezione d’arte al Comune di Milano alla sua morte nel 1858. La presenza di questa serie nella raccolta di Marchesi suggerisce un forte apprezzamento per lo scultore danese, sebbene tali soggetti non fossero molto noti in Italia, essendo destinati principalmente al Nord Europa.
Il rilievo raffigura la Madonna col Bambino e San Giovannino. La figura della Vergine, seduta e composta su un appoggio, rivolge lo sguardo verso il giovane San Giovanni. Quest’ultimo, rappresentato con un bastone cruciforme, è intento a ricevere un gesto affettuoso dal piccolo Gesù, seduto sulle ginocchia della Madonna. La scena trasmette un’atmosfera intima e delicata, con lo scultore che opta per un gesto di affetto naturale anziché la tradizionale mano benedicente.
È probabile che Marchesi abbia ottenuto questa serie di gessi durante il suo lavoro a Novara per il Duomo locale, dove erano presenti esemplari simili. L’ipotesi è avvalorata dalla presenza di calchi inviati da Thorvaldsen a Novara per essere fusi in bronzo e utilizzati nell’altare del battistero della cattedrale.
8. Achille Funi, Ritratto di bambina (Municipio 9, Biblioteca Niguarda)
Il dipinto, realizzato da Achille Funi nel 1920-1921, e oggi conservato alla Casa Museo Boschi Di Stefano, raffigura una giovane ragazza a mezzo busto che emerge da uno sfondo nero, separata dallo spazio dello spettatore da un parapetto o dal piano di un tavolo su cui sono collocati una ciotola, un cucchiaio e un’arancia. Gli occhi scuri della bambina, rivolti verso sinistra, si illuminano grazie alla fonte di luce forte e chiara, che illumina sia la figura umana sia gli oggetti circostanti.
Questo dipinto è rappresentativo della pittura di Funi all’inizio degli anni Venti, segnando una fase di transizione dopo il Futurismo e la Metafisica. In questo periodo, l’artista si ispira ai maestri rinascimentali, partecipando al movimento del Ritorno all’Ordine diffuso in Europa, e invocando una nuova costruzione formale e plastica. Le opere di questo periodo presentano forme solide e luminose, caratterizzate da una luce netta che crea forti contrasti, anticipando lo spirito sia del Realismo magico e della Nuova Oggettività tedesca, sia dei risultati futuri del gruppo di Novecento italiano, del quale Funi sarà cofondatore nel 1922.
9. Adolphe Joseph Thomas Monticelli, Adorazione dei Magi (Municipio 2, Biblioteca Crescenzago)
Il dipinto di Monticelli, acquisito dal Comune di Milano nel 1932 (da cui la targhetta sulla cornice, che lo indica col nome di battesimo italianizzato in italiano “Adolfo”, secondo l’uso del periodo), raffigura l’adorazione dei Re Magi. È una scena dipinta più volte dal pittore francese, amico di Cézanne, assieme al quale si recò spesso, tra il 1878 e il 1884, a dipingere paesaggi en plein air per la campagna di Aix-en-Provence, e fu anche una fonte d’ispirazione importante per Van Gogh, che ammirò molto il suo lavoro dopo averlo visto a Parigi quando vi arrivò nel 1886. La scena, simile ad altre del pittore francese, è tratteggiata nel tipico stile del pittore, in cui le superfici riccamente colorate, sfumate, strutturate e smaltate producono un effetto scintillante, e si concentra sul Bambin Gesù in braccio alla Madonna, illuminato da una sorgente luminosa che rimanda all’idea di un’aureola. Una luce divina brillante irradia i personaggi che si trovano in atteggiamento di adorazione, mantenendo nell’oscurità gli altri soggetti visibili. Ogni figura è dipinta con tocchi rapidi e spessi, i quali non delineano con precisione i contorni, ma piuttosto creano una scena in cui le figure si mescolano vagamente con lo sfondo, ad eccezione di quelle illuminate chiaramente dalla luce riflessa, che emergono in netto contrasto.
Nato a Marsiglia da una famiglia con radici milanesi e torinesi, Monticelli iniziò la sua formazione artistica nella sua città di origine, Marsiglia. Qui, nel 1856, divenne conoscente del pittore della scuola di Barbizon Narcisse Diaz, che lo influenzò profondamente. Come il collega si concentrò su temi legati al paesaggio e alle figure mitologiche di eroine. La sua produzione artistica, sebbene non riconosciuta adeguatamente durante la sua vita, ha avuto un impatto significativo sui movimenti artistici successivi. Tornato a Marsiglia nel 1870, nonostante la sua vasta produzione artistica, visse in condizioni di estrema povertà. Nel corso degli anni, la sua salute mentale iniziò a declinare, manifestando comportamenti eccentrici e sintomi di profondo disagio emotivo, motivo di preoccupazione anche per Van Gogh, il quale, sentendo diventare più acuta la sua sofferenza mentale, si augurava di non fare la sua stessa fine.