Fotografiska, nuova sede a Berlino. Candice Breitz, Juliana Huxtable e una collettiva sul nudo. Per smontare privilegi sessuali e razziali

Domani, 14 settembre a Berlino aprirà le porte la nuova sede di Fotografiska, un museo e un centro per la fotografia e la cultura contemporanea fondato a Stoccolma nel 2010 e che in poco tempo ha moltiplicato le sue sedi, da Tallin a New York fino a Shangai. Dal 2017 Yoram Roth è presidente del Fotografiska Group of Museums, che guida le varie istituzioni. La missione intrapresa da Yoram Roth e dal suo team è quella di fare di Fotografiska una piattaforma globale per la fotografia, l’arte e la cultura e, vedendo i risultati, ci sta riuscendo. L’apertura coinciderà con la presentazione di tre mostre esclusive che esaminano tutti gli aspetti della cultura visiva nel paesaggio sociale contemporaneo, “Whiteface” di Candice Breitz, “Ussyphilia” di Juliana Huxtable e la collettiva “Nude”.

Candice Breitz (Johannesburg, 1972) artista residente a Berlino indaga i modi in cui un individuo diviene sé stesso in relazione al contesto in cui vive e alle influenze sociali, culturali, di razza e genere senza dimenticare il forte ascendente che hanno i media dal cinema alla televisione. L’artista presenta qua Whiteface, un’installazione a due canali dove l’artista concentra la propria indagine sulle questioni di razza e rappresentazione e di come esse risuonino sull’attenzione globale. Breitz parla di “biancore” e offre una critica che invita a riflettere sui privilegi che hanno avuto i bianchi per troppo tempo. Un discorso cruciale e di primaria importanza, come afferma il direttore esecutivo di Fotografiska Youssef Hammoudah. Oltre all’installazione centrale, Whiteface, Candice Breitz esporrà sette video a canale singolo della serie “White Mantras, e una serie di ritratti fotografici dei personaggi di “Whiteface”. Negli ultimi anni, Breitz ha raccolto e archiviato una vasta gamma di frammenti di filmati trovati che documentano “persone bianche che parlano di razza”.

Il suo archivio comprende le voci di personalità politiche di spicco, conduttori di telegiornali e talk show, ma anche quelle di blogger meno noti e anonimi di YouTube, orientati sulle prospettive della “brava gente bianca” che vanno dall’ideologia neonazista e dalla propaganda di estrema destra al razzismo quotidiano. “Nello specifico”, spiega Breitz, “l’archivio osserva l’ansia crescente dei bianchi mentre gli appelli di lunga data a smantellare la supremazia bianca proliferano e si intensificano in tutto il mondo offrendo una visione del contraccolpo in corso contro i movimenti razzisti”. In Whiteface, Breitz si appropria e fa parlare decine di voci tratte da questo archivio, incanalandole attraverso il proprio corpo. Con indosso solo una camicia bianca e lenti a contatto da zombie, l’artista evoca il candore in una varietà di forme, ruotando tra una serie di parrucche bionde a buon mercato, tra le quali spicca la sua chioma platinata. Whiteface è un ritratto della razza bianca in uno stato di panico. Mentre lo status privilegiato dei bianchi viene messo sempre più sotto pressione, le narrazioni sull’estinzione dei bianchi si sono moltiplicate in tutto lo spettro politico. In un momento in cui tutti noi siamo minacciati dalla possibile estinzione alla luce della crisi del cambiamento climatico e di altre minacce incombenti, Whiteface fa la parodia dell’assurdità dell’ansia da estinzione dei bianchi che evidenzia il narcisismo delirante alla base di questa condizione.

“Ussyphilia” è la più grande mostra europea dedicata all’artista, scrittrice, musicista e performer Juliana Huxtable (nata nel 1987 a Bryan-College Station, Texas) che investiga su storia, narrazioni e tecnologia per sfidare i discorsi sulle percezioni contemporanee di identità, futuro e politica. In mostra i lavori della serie “Akimbo Spittle”, in cui Huxtable esplora nello specifico la personale identità di donna nera trans. Nelle opere l’artista gioca con questo concetto attraverso il ritratto di sé in continua evoluzione. Le sue immagini sono celebrazioni esagerate ipercolorate e psichedeliche di un genere di sessualità contorto ma libero e selvaggio. Le nuove creature dell’artista giocano con le paure pruriginose di una società nei confronti di una libertà sessuale e di genere che ancora scuote le fondamenta della collettività contemporanea.

La collettiva “Nude” affronta il fascino secolare del corpo nudo ed esplora l’equilibrio tra il “nudo” come forma idealizzata e un’espressione artistica onesta, naturale e personale: in questo senso il corpo nudo è un mezzo per esplorare l’intersezione tra genere, razza e cultura. In mostra sono presenti più di 200 lavori di oltre 30 artiste provenienti da 20 Paesi diversi, che riflettono sulla rappresentazione della nudità nell’arte sfidando al contempo i vincoli storici ad essa legati. In questa mostra, lo spettatore riceve una visione globale di ciò che significa il corpo, di come viene usato e di cosa ci dice sulla società moderna. È un tentativo di ridefinire i confini della rappresentazione, innescando una rivoluzione che celebra la diversità e sfida le norme convenzionali. Fra le artiste presenti Evelyn Bencicova, Momo Okabe che tratta di storie universali di sesso e di morte fondendo la tenerezza con un’intimità cruda, che diventa visibile attraverso l’uso specifico del colore e  al contempo affronta la complessa questione sociale della  transessualità; e ancora l’artista polacca Aneta Grzeszykowska che utilizza il corpo – il proprio e quello di altri – come materiale per mettere in discussione le norme sociali che circondano l’identità e la rappresentazione.

Politica, razza, genere, identità e corpo sono le tematiche rappresentate da queste mostre che aprono la sede di Fotografiska a Berlino, mantenendo il focus su quello che è sempre stato l’impegno da parte del museo, cioè quello di creare una comunità artistica dinamica e inclusiva.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

La Musa surreale, Alessandra Redaelli racconta Gala Dalì in prima persona nel suo nuovo libro

Nel libro La musa surreale, Alessandra Redaelli ripercorre, attraverso la voce della stessa protagonista, la vita della musa di Salvador Dalì, non solo come compagna del celebre pittore, ma come una figura indipendente, capace di determinare il proprio destino.

Artuu Newsletter

Scelti per te

Seguici su Instagram ogni giorno