La pittura “sussurrata” della centenaria Anna Maria Fabriani in mostra a Palazzo Merulana

C’è un silenzio che si dipana nelle stanze della memoria, un riverbero di luce che attraversa le trame del tempo. In questo spazio sospeso, Anna Maria Fabriani, oggi centenaria, ha coltivato il suo giardino segreto, dipingendo la vita con gesti lenti, metodici, come se ogni pennellata fosse una preghiera sussurrata al cuore dell’esistenza.

Vissuta nel Secondo dopoguerra italiano, caratterizzato da una società patriarcale, l’artista ha coltivato il proprio talento tra le mura domestiche, senza mai pensare di “essere all’altezza” di esporre al mondo. La sua produzione artistica non è solo espressione di un talento individuale, ma riflette il desiderio di affermare la propria identità in un contesto che spesso relegava le donne ai margini della scena culturale. Dipingere, per Fabriani, è diventato un rito quotidiano, un impegno metodico e costante che coincideva con la sua esistenza, privo di condizionamenti esterni e lontano dalle logiche del mercato. Anna Maria, secondo i racconti della figlia Sabrina Ambrogi, rimaneva per settimane davanti a una tela, raschiando il colore e ricominciando, fino a trovare la giusta armonia. Un processo che rispecchia la sua ricerca di perfezione e autenticità, senza compromessi.

Oggi, la mostra “Anna Maria Fabriani. Riverberi e trame dalla Scuola Romana”, ospitata a Palazzo Merulana dal 5 settembre al 6 ottobre 2024, curata dalla figlia Sabrina, propone oltre quaranta opere, tra nature morte, ritratti e fiori, ciascuna delle quali racconta un capitolo della lunga carriera artistica di Fabriani. La mostra si apre con uno dei suoi primi lavori, il ritratto di Maria Magris (1945 circa), un’opera delicata e intima che svela il talento precoce di una giovane artista alla ricerca della propria voce. Da qui, il visitatore viene condotto attraverso una serie di dipinti che esplorano le diverse fasi del suo sviluppo artistico, dalle prime influenze di Carlo Socrate, suo maestro all’Accademia di Belle Arti di Roma, fino alla maturità della sua seconda fase creativa, iniziata nel 1997 dopo una lunga pausa.

Cecilia, uno dei pezzi più significativi in mostra e simbolo dell’esposizione, rappresenta l’anima più profonda della sua ricerca: un ritratto che va oltre la rappresentazione fisica del soggetto per coglierne l’essenza, il respiro interiore. Si nota qui l’influenza del periodo trascorso nell’atelier di Villa Strohl-Fern, luogo leggendario per la creatività romana dell’epoca, dove Fabriani affinò le sue tecniche pittoriche, il suo studio del colore e la sua ossessiva ricerca della luce, elementi che diverranno la sua cifra stilistica.

L’esposizione si snoda tra i dipinti più rappresentativi di Fabriani, come Rosetta (1953), con la sua intensa gamma di grigi recuperata dal recente restauro di Cristiana Noci, e Grigio su grigio (1958), anch’esso riportato alla sua originaria lucentezza. Si attraversano i decenni con una sequenza di opere che riflettono il cambiamento di prospettiva e maturazione dell’artista, culminando con lavori più recenti, come Limoni arance e Amaro del Capo (2018), che svelano un approccio quasi cinematografico alla composizione, una messa in scena dei soggetti nello spazio che gioca con la luce e le ombre per creare profondità e tensione emotiva.

Una delle sezioni più toccanti della mostra riguarda i dipinti che sono stati ritrovati per caso, nascosti per anni nelle cantine, come Savoiardi e il già citato Grigio su Grigio, testimonianze di un talento che ha rischiato di essere dimenticato. In particolare, il ritrovamento del ritratto di Maria Magris (olio su cartone, 1945) nella cantina della casa in cui Fabriani è cresciuta, offre uno sguardo commovente sul destino spesso incerto delle opere d’arte, che possono perdersi, deteriorarsi o rimanere nascoste per decenni, finché qualcuno non decide di riportarle alla luce.

Non mancano, infine, gli enigmi e i misteri irrisolti. Una sezione della mostra è dedicata alla ricerca dei dipinti perduti di Fabriani, realizzati nell’atelier di Villa Strohl-Fern e inviati in Venezuela nel 1959. Questi lavori, mai recuperati, sono scomparsi nel porto di Caracas – La Guayra, e la loro assenza risuona come un invito a lanciare un “messaggio nella bottiglia” al mondo, nella speranza che possano un giorno essere ritrovati e riportati alla luce, completando il mosaico della carriera artistica di Fabriani.

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