Il volume Intelligenza artificiale e mercato dell’arte, appena pubblicato da Johan & Levi e tradotto da Mariella Milan, è molto più di un saggio: è una mappa brillante e provocatoria dei confini sempre più sfocati tra tecnologia e creatività, un viaggio nelle pieghe di un mondo dell’arte in piena metamorfosi. Jo Lawson-Tancred, giornalista che mastica arte e machine learning come fossero pane e burro, guida il lettore con mano ferma ma tono scorrevole attraverso la giungla di algoritmi, aste e ambiguità etiche che definiscono questo nuovo scenario.
Fin dalle prime pagine, complice la prefazione di Jeffrey Boloten e Juliet Hacking, emerge il cuore della questione: siamo di fronte a una rivoluzione culturale in cui la trasparenza promessa dall’intelligenza artificiale si scontra con le opacità storiche del mercato artistico. La domanda che aleggia, tra un dato e una riflessione, è tanto semplice quanto destabilizzante: l’IA democratizza davvero l’arte o la riduce a un calcolo asettico?
Lawson-Tancred non si limita a descrivere. Scava, provoca, mostra le crepe e le possibilità. In sei capitoli densi ma mai pedanti, affronta i nodi principali di questa trasformazione: autenticazione, valutazione, dinamiche di vendita, nuove tendenze di collezionismo, questioni legali e, ovviamente, le prospettive future.
Il capitolo sull’autenticazione delle opere è un piccolo thriller accademico. Si parte dal caso Sansone e Dalila, attribuito a Rubens e messo in discussione da Art Recognition, startup svizzera che ha usato l’IA per scomporre pennellate e tratti invisibili all’occhio umano. Una scena degna di un film: da un lato, storici dell’arte in abiti tweed che rivendicano la sacralità dell’occhio umano; dall’altro, giovani data scientist armati di laptop e sicurezza matematica. Chi ha ragione? Lawson-Tancred non prende posizione, ma invita alla cautela: l’IA può smascherare un falso o creare un caos interpretativo se alimentata da dati scadenti o parametri sbagliati. Non basta la scienza, insomma; serve ancora l’intuito. Forse.
La sezione dedicata alla valutazione delle opere è altrettanto illuminante. In un mercato dove una firma può valere milioni e un’opera sconosciuta resta invenduta, i big data promettono di portare ordine nel caos. Piattaforme come Artnet e Artprice analizzano montagne di dati d’asta per offrire stime più “oggettive”, ma il libro svela il retroscena: l’opacità resta, perché il mercato primario – quello delle gallerie e delle trattative private – sfugge a questi sistemi. E poi, c’è la resistenza umana: troppa trasparenza può far crollare la magia dell’esclusività che alimenta il collezionismo d’élite. Chi vuole un’arte ridotta a grafici e statistiche? Lawson-Tancred insinua il dubbio: forse è proprio quell’aura di mistero – e non la sola bellezza – a spingere i collezionisti a spendere cifre folli.
E a proposito di collezionisti, il libro dedica pagine succose alle nuove generazioni. I dati sono chiari: il 90% dei giovani percepisce il mercato dell’arte come elitario e distante. Ma l’IA e gli strumenti digitali stanno cambiando le carte in tavola. Piattaforme come Avant Arte e l’esplosione degli NFT hanno abbattuto barriere un tempo invalicabili, permettendo a ventenni con uno smartphone di acquistare opere con pochi clic. È democratizzazione o solo nuova forma di speculazione? Lawson-Tancred osserva con occhio critico: se da un lato l’accesso si è allargato, dall’altro la volatilità dei prezzi degli NFT e la rapidità delle transazioni sollevano interrogativi sulla sostenibilità di questo mercato parallelo. L’arte rischia di diventare un gioco di borsa in cui l’estetica cede il passo alla corsa al profitto? Forse. Ma sarebbe ingenuo ignorare che proprio grazie a queste tecnologie, molte persone hanno scoperto per la prima volta la bellezza – o l’emozione – di possedere un’opera.
Il cuore pulsante del volume, però, è il dibattito sull’arte generata dall’IA. Lawson-Tancred racconta con passione e rigore il lavoro di pionieri come Harold Cohen e il suo software AARON, capace di produrre disegni autonomi già dagli anni Settanta. Ma il vero cambio di passo è recentissimo. Le mostre al Whitney Museum nel 2024 e l’interesse crescente delle biennali per le opere create da algoritmi testimoniano una realtà ormai consolidata: l’arte “umana” ha nuovi concorrenti. O collaboratori? La domanda di fondo è quella che divide critici e creativi: se un programma genera un’immagine, chi è l’autore? Il programmatore? L’algoritmo? L’utente che inserisce i parametri? O forse nessuno? La risposta, o meglio le molteplici risposte, sono sfumate. L’IA spalanca possibilità creative inedite, ma rischia di annullare quel gesto irripetibile che per secoli ha definito l’arte come espressione dell’individuo. E allora: ci emozioniamo davanti a un’opera perché è bella o perché immaginiamo la mano che l’ha creata?

Non meno intricata è la questione legale. Il libro fotografa un far west normativo in cui le leggi faticano a stare al passo con le innovazioni. Se un algoritmo si nutre di milioni di immagini online senza consenso, siamo davanti a plagio o a rielaborazione legittima? E i profitti derivanti dalla vendita di opere generate dall’IA a chi spettano? All’artista? Allo sviluppatore del software? Allo sponsor della piattaforma? Le lacune sono evidenti e, come sottolinea l’autrice, urgenti da colmare. La posta in gioco non è solo economica: c’è la definizione stessa di creatività e proprietà intellettuale in un’epoca dove umano e macchina danzano insieme in un valzer sempre più stretto.
Intelligenza artificiale e mercato dell’arte non è un manuale per addetti ai lavori, ma un invito – a tratti scomodo, sempre stimolante – a interrogarsi su cosa stiamo diventando. Lawson-Tancred scrive con chiarezza e un pizzico di ironia, consapevole che la materia, pur complessa, riguarda tutti. Perché l’arte non è solo ciò che vediamo nelle gallerie; è il modo in cui interpretiamo il mondo e, in fondo, noi stessi. Se l’IA può aiutarci a guardare oltre, ben venga. Ma attenzione a non confondere la mappa con il territorio: la tecnologia è un mezzo, non un fine. E la bellezza – quella vera – potrebbe ancora sfuggire agli algoritmi. Per fortuna.