Glitch, la pittura al Building rompe schemi e tradizioni

Mentre la Triennale seleziona e cataloga la pittura italiana, sfidando l’imparzialità con molto coraggio, in una mai abbastanza plenaria rassegna di artisti nostrani, ecco che con contemporaneo tempismo la rarefatta e pregiata – assai milanese – Galleria Building vara una collettiva di soli dieci pittori, internazionali per giunta, per quanto molti italiani con nomi esotici, e appronta una alternativa e parallela rassegna antologica alternativa ispirata a un tentativo, ancora oggi, con altrettanto coraggio critico perseguito, di “nominalismo” della produzione artistica contemporanea.

Installation view <em>Glitch<em> BUILDING piano terra ph Leonardo Morfini

Tutti d’accordo, insomma, nel salotto critico accademico curatoriale, sul verdetto che decreta la morte delle correnti, delle scuole, delle avanguardie e dei sodalizi artistici, non è più il tempo rigido delle categorie e tantomeno delle Grandi Narrazioni, il tempo, oggi, è “fluido”. Epperò la tendenza  categorizzare, almeno, alcune “tendenze” appunto (parola che sfugge ancora alle censure della cultura moderna), quella non molla, resiste alle ipocrisie dei momenti più unanimemente “rigidi” (usiamolo come sinonimo di “solidi”, per rimanere pertinenti con i “fluidi”), e fin dai tempi di Margherita Sarfatti, che oltre un secolo fa radunava gli artisti di quello che sarebbe stato il Novecento dell’arte italiana in occasione di reiterate e affollatissime collettive.

Il lessico degli addetti ai lavori, oggi, ammette nel vocabolario dell’arte in mostra, che palesa ancora una volta l’irresistibile (e legittima, coerente e corretta, s’intende) tentazione al raggruppamento teorico e stilistico, il termine Glitch, titolo dell’esposizione al Building, assai permissivamente traducibile con “smagliatura”, nella versione curatoriale proposta da Chiara Bertola e da Davide Ferri.

Installation view <em>Glitch<em> BUILDING primo piano ph Leonardo Morfini

I due curatori hanno presentato al varo della mostra nel quasi museale spazio privato di via Monte di Pietà (il ché conferisce all’operazione la solennità di una consacrazione filologico categoriale) il risultato di una ricerca comune che dura dal remoto pre Covid e che raduna le presenze – nel comune loro sentire – più rappresentative di ciò che è oggi la “mera pittura”, ovvero la scoperta di una dimensione inedita dell’agire pittorico, informata a una ritrovata energia creativa che scocca proprio dalla rottura, dall’incrinamento (e qui l’onomatopea inglese Glitch assume maggiore, e più propria, pregnanza di significato) degli schemi e delle forme tradizionali dell’arte, sia pure contemporanea.

Ma dove si rivela, in pittura, il glitch, che in elettronica – ambito gergale da cui è prelevato il termine – indica il disfunzionamento che inceppa il disegno regolare di una forma d’onda? In tutte le rotture estemporanee, non casuali ma intenzionali e reiterate, delle convenzionalità dei repertori tecnici, formali, di contenuto e di espressione dell’artista nei rispetti dell’opera.

Supporti frammentati o deformati, tele ordinate, o per meglio dire, disordinate, ma perciò stesso riordinate in catalogazioni superiori, che esorcizzano pertanto il tabù della fluidità corrente, in distici irregolari che entrano a loro volta in relazione visiva con opere singole, metafore ipertroficamente materiche, debordanti dai confini delle cornici, sequenze pittoriche che scivolano dai limiti verticali delle pareti per affondare sulle superfici orizzontali dei pavimenti, fino a lambire i piedi dello spettatore.

Il criterio di selezione del “mero” artista non conosce, nemmeno lui, confini di genere né di tecnica: astrazione e figurazione, per esempio, a dispetto del grande ritorno conclamato della mimesi e del realismo, non sono condizioni senza le quali le nuove “verità” della pittura non si possano manifestare. E nemmeno bidimensionalità e tridimensionalità dell’opera fanno la differenza. Per non dire della molteplicità libera e disinvolta sulla scelta dei materiali: di supporto, di complemento o addirittura “meramente” essenziali nella realizzazione del manufatto artistico.

Installation view <em>Glitch<em> BUILDING secondo piano ph Leonardo Morfini

Ogni “smagliatura” che interferisca tra l’attesa abituale di un’opera d’arte e la relazione con essa per effetto – e dopo gli effetti – del glitch è concessa, non già tollerata come difetto, ma ravvisata criticamente come principio ordinatore e rigeneratore della pittura, in una nuova chiave estetica che riapre le porte della materialità, anche bassamente materiale, dell’arte.

Che non si dica che tutto questo “nuovo ordine artistico” sia meno che legittimo e onorevole, che non abbia pieno diritto di cittadinanza nell’habitat riformato e rieducato linguisticamente dell’arte contemporanea, ma che si smetta anche, o quantomeno si riduca il ritmo, con la solfa dell’arte fluida e degli artisti inorganici e disgregati. Alla critica militante e autorevole, tutto sommato, le categorie, le scuole, le tendenze e i gruppi organizzati piacciono ancora molto, anche se fanno finta che sia arte morta.

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