Dietro la scultura c’è il disegno ma non solo come semplice studio preparatorio: attraverso il segno grafico emerge tutta la poetica dell’artista Giuliano Vangi (Barberino di Mugello 1931- Pesaro 2024).
Siamo allo Spazio Officina di Chiasso dove è in mostra fino al prossimo 21 luglio “Giuliano Vangi: il disegno”, un’esposizione aperta a pochi mesi dalla scomparsa dell’artista fiorentino, da lui fortemente voluta e per la quale ha lavorato alla realizzazione, dove tutto il materiale è stato da lui direttamente selezionato dalle Collezioni di Pesaro e Pietrasanta. La mostra, a cura di Marco Fagioli e Nicoletta Ossanna Cavadini con progetto di allestimento di Mario Botta, tratta per la prima volta in senso antologico il tema del disegno dal 1944 al 2024 e si vuole focalizzare sullo studio della rappresentazione grafica in rapporto alla scultura in cui l’uomo è il grande protagonista.
Ed è proprio la figura umana al centro della scena. La sua rappresentazione, con tutte le sue emozioni e storie, con le sue sofferenze, i dolori, i dubbi, le certezze, le speranze, è il cuore di questa esposizione che vuole offrire una profonda riflessione sulla nostra esistenza e condizione umana, poiché per Vangi l’arte è essenzialmente affermazione dell’esistenza.
Sebbene siano presenti solo due opere scultoree, le figure rappresentate riescono ad invadere lo spazio e ciò è reso possibile anche grazie alla sperimentazione che fa l’artista dei materiali e delle diverse tecniche grafiche dell’incisione tra cui l’acquaforte, il bulino, l’acquatinta e la puntasecca, nonché attraverso gli studi a matita e china, con biacca e acquarellature.
“Il segno o grapheion, come atto creativo e originale, lo induce a ridisegnare e rielaborare uno stesso tema più volte, in modo che la grafica esprima tutta la poetica dell’artista. Per arrivare a elaborare la propria arte, Vangi attinge direttamente dal vero, ed è in grado di trasmettere un suo codice intellettuale e sentimentale di grande levatura”.
Tutta la carica espressiva delle figure viene messa in risalto talvolta attraverso pochi segni grafici. In alcuni casi bastano infatti poche linee ad evidenziare e fare emergere la nuda cruda plasticità della figura umana. Questa “dimensione plastica” perseguita da Vangi e che nelle sculture acquisisce un rilievo fondamentale, si può avvertire anche nei disegni che si distinguono grazie ad una ricerca approfondita che fa l’artista, dove scavare sempre più a fondo nell’animo umano e riportarlo sulla carta diventa poi l’esigenza per trasmettere un messaggio. La statuarietà di alcune incisioni è così percepibile da permettere alla figura umana di farsi spazio, di essere corposa, ben visibile e presente: emerge un realismo dal carattere forte e personale.
Come viene raccontato anche direttamente dall’artista all’interno del documentario trasmesso ad inizio percorso espositivo, ciò che lo animava nella sua ricerca e produzione artistica era un forte spirito di denuncia verso il male.
Non a caso, all’ingresso della mostra veniamo accolti da “Uomo con canottiera”, una figura maschile che urla e che punta il dito contro chi lo guarda: una provocazione contro l’indifferenza umana, non possiamo far finta di non vedere, con riferimento a qualsiasi tipo di violenza sull’uomo e più in generale sulla natura, altro tema caro all’artista.
La grande capacità di Vangi sta dunque sicuramente nell’imprimere soprattutto nei volti i sentimenti più forti ed intensi, nel raccogliere tutta la contraddizione dell’esistenza umana, il dolore, la fragilità, lo stupore, tutta la gamma delle passioni ed emozioni. Ci sono sguardi così intensi e talvolta così persi, che colpiscono dritto chi guarda. In questo modo gli occhi diventano un potente mezzo di dialogo e introspezione, capace di trascendere il tempo e lo spazio.
Figure maschili e femminili che per oltre sessant’anni ha rappresentato risultano contemporanei tutt’oggi, senza tempo, dimostrando una straordinaria atemporalità e confermando come l’arte possa catturare l’essenza universale dell’umanità e rimanere attuale nel corso del tempo.