Esiste un modo nuovo di fare architettura? Se ne parla alla mostra organizzata dalla Fondazione V-A-C di Venezia.
La mostra, che si è aperta in concomitanza con La Biennale di Venezia e che durerà fino a gennaio del 2022, ha il doppio merito di presentare un dibattito sull’intoccabile tra le arti: (l’Architettura) in un formato inedito che, in parte è esposizione, in parte programma di conferenze aperte al pubblico ed infine laboratorio in cui si analizzano campioni di manufatti edili sostenibili.
Edificare ha un prezzo per il pianeta; si può fare senza estrarre? La domanda sembra retorica per chi come noi è abituato a vivere in edifici di cui non ci si chiede di cosa siano fatti, nè da dove vengano i manufatti; eppure ci sono al mondo comunità che, non solo sanno cosa sia l’architettura non estraibile, ma da generazioni mantengono un rapporto con il territorio basato su un dato di fatto: le risorse della terra non sono inesauribili. “Noi indigeni sappiamo cosa siano la non estraibilità e la rigenerazione e siamo stati in grado di proteggere la maggior parte della biodiversità del pianeta” – dice Nina Gualinga, attivista impegnata nella lotta per la protezione della foresta amazzonica, ospite alla conferenza inaugurale del programma, nella sede veneziana della Fondazione.
Oltre l’estraibilità, anche le filiere di produzione e distribuzione, lo sfruttamento sulla manodopera e l’impatto sociale sono tra i fattori che rendono l’architettura la più grande singola produttrice di emissioni CO2 (circa il 40%) al mondo: parlarne è una necessità. Annotazioni, disegni, riflessioni sull’architettura non estraibile, si accumularenno sulle pareti bianche dei tre piani dello spelndido palazzo delle Zattere, mentre a pian terreno c’è già un laboratorio in cui sperimentare materiali “verdi.” La mostra parte come “un notebook”, dice l’architetto Jospeh Grima, co-curatore insieme a Sofia Pia Belenki e Camillo Olivero. Un work in progress che necessita anche della partecipazione del pubblico per la sua riuscita.
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