In un’epoca sempre più fluido e veloce, quasi “gassosa” (ormai non più neanche liquida, per citare Bauman) l’artista Lucia Bubilda Nanni (Ravenna,1976) attraverso la sua sperimentazione invita ad indugiare, a procedere a piccoli passi per recuperare lo sguardo lento e lungo che non appartiene più alla nostra epoca dominata dalla velocità come unità di misura del progresso.
Lucia Bubilda Nanni dà corpo a questa riflessione con un’installazione di più di duecentocinquanta ritratti, realizzata a partire dal 2012 e tutt’ora in corso, esposta recentemente alla Fondazione Lercaro di Bologna, in cui l’invito è di entrare per trovarsi osservati dagli stessi: il suo scopo è quello di porci nella posizione di oggetto lasciando che ognuno sperimenti le proprie relazioni attraverso teli cuciti morbidi e flessibili che invitano ad attraversarli, da un lato e dall’altro, per tessere nuove narrazioni – l’uso della canapa come supporto artistico rispecchia la volontà di conservare sensazioni autentiche e trasformare oggetti antichi in opere d’arte contemporanee.
L’intera installazione rimanda tanto alla vista e alla conseguente proiezione emotiva che ne deriva e suggerisce che per vedere con consapevolezza sia necessario esplorare anche l’altro verso delle cose, l’ombra. È questo doppio a rivelare la mutevolezza e la pluralità del reale che un’osservazione superficiale, un solo punto di vista, non può restituire. ORAMA è l’ultimo allestimento di Lucia Bubilda Nanni, in ordine di tempo, di un progetto nato da una ricerca di censimento delle fotografie dei volti di una sezione inagibile del Cimitero Monumentale di Ravenna.
L’artista comincia a ritrarre a mano libera, priva di disegno preparatorio, con la sua macchina da cucire – una Bernina modello 1008 meccanico. È l’avvio di un percorso che la condurrà a riflessioni e suggestioni che indagano le diverse declinazioni del volto e attraversano una pluralità di sguardi che salva dall’oblio.
La macchina da cucire è uno strumento forte, razionale, che controlla le emozioni e trasforma la pratica artistica in controllo emotivo. Avanzando, l’artista studia i dettagli del viso, cercando un collegamento tra superficie e profondità, tra esteriore e interiore, tra apparenza e sostanza. Analizza ogni indizio significativo che possa rivelare le espressioni dell’anima, svelare i punti chiave di una storia personale, i contorni di vicende emotive che hanno lasciato un segno visibile, un carattere.
È da più di quindici anni che sperimenta il disegno con la macchina da cucire con una mano abile e ferma, tecnica tramandata da suo zio scenografo. Utilizzare la macchina da cucire per trasmettere con l’ago ciò che colpisce l’occhio è sintomo di un controllo gestuale significativo da parte dell’artista. L’installazione è libera di interpretazioni precostituite; lascia il tempo di un capovolgimento dello sguardo, dell’immagine e del doppio per cogliere i significati nascosti tra le tele di canapa.
L’interrogativo di Nanni, dunque, nasce dalla riflessione sul mondo di oggi: è un mondo non ci guarda, non si rivolge a noi; i dispostivi ci schermano dalla realtà e ci proiettano in un mondo fittizio ed estraneo da noi e dall’Altro, senza possibilità di specchiarsi e riconoscersi. Lo schermo digitale ci protegge dalla realtà e, al contempo, rende il mondo irreale e il nostro ego sempre più univoco ed estraneo all’Altro, privandoci del riconoscimento nell’alterità.
Il concetto di alterità prende forma attraverso i volti quasi sconosciuti. Entrare nell’installazione significa addentrarsi in uno spazio estraneo alla realtà digitale che ci circonda e che protegge il nostro ego illudendoci di poterci espandere senza soluzione di continuità.
L’installazione ispira riflessioni sull’origine e l’evoluzione della vita sulla base di interazioni sociali, ma anche sulle emozioni e sui ricordi. Come ogni opera d’arte, è un monumento alle sensazioni presenti, che celebra l’evento stesso anziché commemorare il passato: Per Nanni l’arte è unione di letture e interpretazioni, esplora il passato cercando tracce nel presente, è una rivelazione di verità che lo sguardo degli altri ci mostra.