Ha inaugurato il 6 novembre allo spazio Eventi di Regione Lombardia la personale di Amato Patriarca, “Realtà e desideri”.
L’artista ha colpito la nostra immaginazione perché, nonostante prenda spunto dalla vita quotidiana, guardando i suoi lavori siamo in qualche modo costretti ad una riflessione di tipo esistenziale e filosofico. Attraverso la lente della Pop Art, infatti, Patriarca riesce a trasformare immagini e oggetti comuni in simboli che stimolano una lettura critica della nostra realtà.
Il suo lavoro è pervaso da una profonda attenzione al dettaglio e da una consapevolezza sociale che va oltre la superficie appariscente del mondo pop, reinterpretando i segni e i simboli del consumo di massa. Ironia e introspezione, pervadono le sue opere che non si limitano a rappresentare la cultura contemporanea, ma ne diventano una critica visiva e una ricerca di senso.
Dice Sergio Gaddi (curatore della mostra) nel testo che accompagna il catalogo “Il suo lavoro è intriso della suggestione del tempo, un dubbio moderno costretto a confrontarsi e giocare con il paradosso dell’infinito e dell’eternità. Le piazze, le vetrine, le spiagge, i momenti intimi e le carezze degli amanti che l’artista fissa nel momento sospeso della pittura lasciano trasparire una narrazione sottile e potente sempre concentrata sulla vita quotidiana, filtrata attraverso una lente che trascende il tempo abituale”.
Abbiamo raccolto anche le impressioni, sul lavoro di Amato Patriarca, di Angelo Crespi (Direttore Generale della Pinacoteca di Brera e co-curatore della mostra). “In Amato Patriarca, c’è un’esigenza assoluta e concettuale che però paradossalmente non si esprime poi nell’opera d’arte ed è questa una delle cose che prediligo nei suoi lavori, perché tutta la sovrastruttura del concettuale, quindi del pensiero, secondo me non dovrebbe poi essere tradotta nelle opere d’arte. Io aborro quasi sempre il concettuale, quindi l’arte che va guardata con le orecchie, prediligo invece l’arte che va osservata con gli occhi. Ho fatto delle lunghissime chiacchierate con l’artista, su temi davvero spinosi, esistenziali, partendo soprattutto da Heidegger e poi anche del contemporaneo, ma poi la traduzione di tutto questo in Patriarca avviene con una pittura super fresca, super colorata, che non ha nulla di concettuale, neppure quando viene introdotta la parola all’interno del quadro”.
Negli ultimi lavori, infatti, Patriarca ha incluso segni e simboli simili a un alfabeto, quasi come un codice. Le sue opere, quindi, non si limitano a un impatto estetico, ma suggeriscono un intento narrativo o concettuale, come se l’artista volesse “parlare” al pubblico attraverso un vocabolario visivo ricco di significati.
Ci racconta ancora Angelo Crespi :“ In Patriarca si ritrova l’insegnamento di Cézanne, il quale affermava che un pittore non dovrebbe dipingere ciò che pensa di vedere, ma ciò che vede effettivamente”.
In effetti Patriarca si ispira a questo approccio moderno, legato alla vita quotidiana, spesso rappresentando momenti semplici come due ragazzi seduti, una persona in un’attività quotidiana, o una folla in un mercato. È come se cercasse di salvare questi piccoli momenti, questi frammenti sfuggenti della nostra esistenza.
L’altro aspetto fondamentale nel suo lavoro è la visione di una realtà che non appare mai statica. Nelle sue opere, la realtà ha una qualità liquida, come se il tempo stesso erodesse le immagini. Questo effetto sembra essere un tentativo amorevole di catturare l’essenza di ciò che resta, mentre la vita scivola via. È forse proprio questa, la volontà di fermare il tempo in un modo fluido e indefinito, la lezione più forte che Patriarca ci trasmette: un messaggio di bellezza e di riflessione sulla fugacità della nostra esistenza.
Abbiamo chiesto all’artista il motivo del titolo “Realtà e desideri”.
Rappresenta l’infelicità moderna. Confondere la realtà col desiderio, tutti abbiamo dei desideri, però sappiamo anche che sono desideri, che magari non si realizzano, o che non sono riconosciuti dagli altri. Questo fa crollare tutte le possibilità concrete di felicità. Perché il desiderio, che è uno stimolo fortissimo, fondamentale, sta alla base anche dell’infelicità. Sono passato al dipingere la strada, la descrizione di una verità assoluta, perché la cultura non era più l’accademia, non erano più i centri di potere, non era più l’Arcivescovado, ma le persone, le piazze, i mercati, questo tragico momento del contemporaneo, questa confusione.
Questa mostra allo Spazio Eventi della Regione Lombardia può essere definita un’antologica?
In essenza quello che io rappresento qui è un excursus degli ultimi decenni, dove ci sono stati dei forti cambiamenti dei valori, mi riferisco al relativismo culturale che è parte della nostra società.
Chi guarda i tuoi quadri si trova immerso in un’esplosione di colori, di luce: cosa vorresti trasmettessero?
L’attimo, siamo circondati da una realtà complessa, però noi ci focalizziamo sempre su un punto e questo punto che io metto in evidenza, è il tempo che sfugge, che passa, tutto quello che succede a prescindere da quello che noi consideriamo in quel momento importante, perché ci sono sempre anche altre cose importanti, è tutto però indefinito e noi siamo all’interno di questo movimento. Ma non rinuncio alla bellezza, il bello è fondamentale, ossia non è necessario che una vita tormentata sia rappresentata col brutto, un tormento può esserci anche nella bellezza, la bellezza è fondamentale, per cui ecco la ricchezza del colore, ecco che non rinuncio a certi stilemi che appartengono magari al passato ma che restano comunque fondanti, e fondativi anche nel contemporaneo.
Nei tuoi lavori si avverte un’urgenza di comunicare, come se non ci sia abbastanza tempo e attenzione per farlo…
I miei lavori sono fatti di immagini e le immagini sono comunicazione, per cui io mi aspetto di dare un input a chi guarda, ma che comprenda, il mio racconto deve essere avvertibile, non determinato nei dettagli, ma la chiarezza del mio discorso che vuole essere pop, deve essere palese.
In mostra 70 acrilici su tela, 4 sculture in acciaio inox e 2 in vetro di Murano, fino al 26 novembre.