La grande personale del celebre fotografo franco-algerino Michel Haddi dall’evocativo titolo “Beyond Fashion” alla 29 ARTS IN PROGRESS gallery a Milano, racconta, attraverso una selezione dei suoi lavori più iconici, oltre 40 anni di carriera. Haddi, nato nel 1956 a Parigi da un soldato francese che non ha mai conosciuto e da madre algerina musulmana, non ha certo avuto una vita facile. Nella sua turbolenta infanzia è passato da una famiglia affidataria all’altra, ma la madre quando poteva gli portava delle riviste, tra cui Vogue, su cui Haddi osservava con ammirazione i lavori dei grandi fotografi, in particolare Newton.
Così, dopo un viaggio che lo porta in Arabia Saudita, Michel Haddi inizia a collaborare con diversi fotografi. Quando poi torna a Londra, incontra il suo mentore , Victor Herbert, figura decisiva nella carriera del fotografo. Dal 1980, quando Haddi apre il suo studio, iniziano a fioccare le collaborazioni, sempre più importanti, tra le tante quella con Franca Sozzani, che nel 1985 chiede ad Haddi di unirsi al suo team. Nella sua lunga carriera si è spostato tra New York, Los Angeles, Parigi, Londra e Milano, diventando riconosciuto come come uno dei principali fotografi di moda a livello mondiale.
Nei suoi scatti vediamo ritratte icone della moda, dell’arte e della musica tra cui Kate Moss, Cameron Diaz, David Bowie, Naomi Campbell e Tupac, il rapper considerato uno dei più influenti di tutti i tempi e scomparso nel 1996. Per ricordarlo, Michel Haddi ha lanciato il coffee table book “Tupac – The Legend” con citazioni dello stesso Tupac, che nel 1993 è stato fotografato proprio da Haddi.
Lo abbiamo incontrato in occasione della seconda parte della sua personale in esclusiva per i lettori di Artuu Magazine e gli abbiamo fatto qualche domanda.
Michel, cosa ha rappresentato e rappresenta per te la fotografia? In oltre 40 anni di carriera, come racconteresti questo rapporto con il mezzo fotografico?
Nella vita ho avuto la possibilità di scegliere se essere il più cattivo possibile o trovare un risveglio spirituale come nel cinema o nella fotografia. Ho avuto la possibilità di essere lì al momento giusto. In tutta onestà, nascere nel 6° distretto di Parigi, come Saint Germain des Pres, equivale ad avere una licenza di uccidere o avere un cucchiaio d’argento nel gilet, anche se sono cresciuto nel peggior sobborgo di Clichy Sous Bois. Come forse saprete, i francesi non cambiano mai, quindi se sei nato nel posto giusto significa che fai parte dell’élite.
La fotografia è solo il mio modo di esprimere i valori artistici che potrei avere. Inoltre, ho forti desideri di amore, gentilezza e potere, ma non mi interessa creare un’immagine per il gusto di farla, a meno che, naturalmente, non mi paghiate bene, allora ne possiamo parlare.
Sei un artista che ha sempre privilegiato il lato umano. È questo l’aspetto più importante nel suo processo creativo?
Sono felice di dire che i marchi con cui lavoro sono tutti alla ricerca di un impatto emotivo, questa è la parola da usare.
Come si arriva a creare una composizione o a cogliere l’essenza del soggetto ritratto?
Non ci sono regole, bisogna essere curiosi. Potrei avere 20 ragazzi che assomigliano a Donald Trump con i capelli arancioni e una ragazza che spinge una culla davanti a loro. Sarebbe l’inizio di una storia. Basta essere curiosi.
“Tupac The Legend”, mi parli di questa esperienza e della pubblicazione di questo volume?
Tupac era un poeta, andavamo d’accordo come due piselli in un baccello, l’ho visto come un giovane Martin Luther King, quando l’ho vestito con un abito, purtroppo MLK è stato fatto fuori. Stavo pulendo il mio magazzino a Los Angeles e mi sono imbattuto in alcune polaroid e stampe ed è stato il direttore artistico Roberto da Pozzo a impaginarle.
In 40 anni di carriera, come hai visto l’evolversi il panorama della fotografia?
In tutta onestà non mi interessa, mi concentro solo sul mio lavoro e sulla mia famiglia, quello che sto cercando di dire è che ci sono sicuramente dei nuovi talenti ma nel complesso è solo business, in parte è dovuto anche al fatto che tutti possono essere fotografi, è una selezione sottile, in più le persone hanno paura e vogliono rimanere nella loro zona di comfort. Io volo da solo, ho amici fotografi e parliamo sempre. Come dicono i francesi, è nella vecchia pentola che si cucina meglio. Guardate Martin Scorsese… a 80 anni è ancora in forma.
Raccontaci alcuni episodi divertenti e speciali legati al tuo rapporto con le modelle e le celebrità.
Non mi piace vantarmi degli amici e delle persone che conosco, ma posso raccontare un episodio che riguarda una modella, Camilla Rutherford, che è un’attrice favolosa, divertente e spiritosa. Un giorno il settimanale tedesco Cosmopolitan mi ha chiesto di fare un servizio nello Yemen, sì, hai capito bene, nello Yemen, con in più una storia di moda e non ho potuto rifiutare.
Così con Camilla, ho provato a immaginare di mettere in scena una di queste donne britanniche con molto gusto, il “tipo esploratrice” che non ha paura di niente, e quando io e la troupe siamo arrivati a Sana’a a mezzanotte da New York, con Camilla che arrivava direttamente da Londra, ci siamo trovati di fronte tutti questi ragazzi con il kalashnikov, e ho capito che ci sarebbe aspettata una bella grana. Avevano appena terminato la loro guerra civile, durata oltre 2 anni. Il giorno dopo avevamo un incontro con l’ambasciatore tedesco, non chiedermi perché ma suppongo perché la rivista per cui dovevamo fare il servizio era tedesca, e la signora che era l’ambasciatore ci descrive la bellezza dello Yemen e insomma, penso che se anche fossimo stati rapiti, in fondo non sarebbe stato poi così male! Camilla, essendo molto britannica, era molto calma, come fosse totalmente indifferente alla cosa, e non le importava nulla. Una delle assistenti invece se ne tornò subito in Germania perché si era spaventata, e del resto non la biasimo. In ogni caso, dato che da giovane, cioè quando ero poco più che un ragazzino, ho vissuto in Arabia Saudita lavorando in un cantiere edile, ho avuto modo di capire e sapere come comportarmi. Così, abbiamo finito per addentrarci sempre di più nelle montagne per realizzare il servizio di moda nel territorio dei Mujahideen e abbiamo finito il servizio accompagnati da 4 guardie del corpo. Io avevo il kalashnikov tra me e l’autista e dietro di me, nell’autobus con Camilla, c’erano il parrucchiere e l’assistente stilista e 12 soldati in un camion con le mitragliatrici. Abbiamo realizzato una delle mie immagini migliori ballando il tango con l’autista tra tutti questi guerriglieri e Camilla, essendo una grande attrice, interpretava alla perfezione quello che accadeva proprio lì in quel momento, e alla fine le immagini che ne sono uscite erano davvero fantastiche. Ne è venuto fuori un servizio di 40 pagine… Ci sono libri che parlano ancora di quella storia; purtroppo, quando siamo partiti, alcuni turisti sono stati rapiti e non hanno avuto la fortuna di tornare dai loro cari. Io sono stato semplicemente fortunato perché il mio cognome è Haddi, e all’epoca il capo supremo del presidente dello Yemen si chiamava ‘Abd Rabbu Mansour Hadi… non sapevo di avere un parente lì!
In ogni caso Camilla in quel viaggio è stata sempre pronta a mettersi in gioco, e questo ha reso il servizio davvero speciale. Ho avuto altre esperienze simili in altri paesi, come ad esempio quando sono stato in Ecuador per Esquire. Insomma, anche realizzare dei servizi di moda può essere un modo parlare di attualità!
Un progetto che ti piacerebbe realizzare?
Chi lo sa, magari puoi aiutarmi tu stessa… a Parigi una volta ho realizzato un servizio con i 100 migliori attori della nuova generazione in Francia, ebbene oggi vorrei organizzare una grande festa a Hollywood, come in Babylon (colossal del Premio Oscar Damien Chazelle, regista di La La Land e Whiplash, con Brad Pitt e Margot Robbie ambientato nella Los Angeles degli anni Venti, ndr), vorrei mettere insieme 100 tra attori e attrici con un super budget e 5 cineprese, oltre a fare una mega festa. Come ho detto, l’ho fatto una volta a Parigi e vorrei farlo di nuovo.
L’intelligenza artificiale ha generato la donna perfetta, vediamo questa ondata di esseri artificiali ovunque, cosa ne pensi?
Sarò breve su questo punto: chi possiede il copyright di un’immagine creata con l’AI? Nessuno o tutti, quindi, ad essere sincero, non mi interessa l’AI. Ci vorrà un computer intelligente per generare qualcosa di personale, ma ricordiamoci di HAL, il computer in 2001: Odissea nello spazio di Kubrick. Quindi ora se l’AI funziona come Photoshop, allora va bene, è qui che uso l’AI, ma certamente non per il mio lavoro, intendo per scattare o per trovare l’ispirazione, ma solo per ritoccare, diciamo che è uno strumento, un algoritmo, non un cervello emotivo.
Quel è il tuo segreto per catturare lo scatto perfetto?
Non ho segreti, solo intuizione e karma. Suppongo di averne uno buono.
Le tue foto sprizzano sensualità ed erotismo. In che modo costruisci le immagini, anche quando utilizzi modelle e celebrità, come Kate Moss o Cameron Diaz, e quanto influisce l’uso del colore all’interno delle immagini?
Come ho detto in precedenza, non so se ho interesse a intellettualizzare le mie immagini, non sono il Freud della fotografia. Ho usato spesso il colore nelle mie foto, come quelle esposte nelle mie mostre fin dalla fine degli anni Settanta, tra l’altro anche le mie case, a Marrakech e a Parigi, sono molto colorate, proprio come le mie foto. Inoltre, sono per metà ebreo, il che significa che amo i colori: persino il nostro cibo è colorato! Per quanto riguarda le modelle e le attrici che hai menzionato, tutte, compresa mia moglie, beh, cerco sempre la bellezza interiore nelle donne che fotografo: il resto viene in modo naturale e senza sforzo.