Un vocabolario di forme sottratte al mondo umano e non umano. Un insieme di dettagli frammentati che insieme (ri)scrivono una narrazione seguendo le ragioni evolutive, ma con lo scopo di suggerire prospettive meno antropocentriche. Non c’è nulla che sia perfettamente compiuto, i corpi e pensieri sono ancora in corso di definizione. Si tratta piuttosto di suggestioni che nascono da stati di immobilità o di attesa, da percezioni inconsce e razionali formulazioni cognitive. Giacciono apparentemente su una linea di confine interrotti, temporaneamente nella loro fase risolutiva. È qui in questo limen, che si colloca la pratica di Matilde Sambo (1993, Venezia).
Presentimento è l’ultimo episodio di una trilogia, ospitato per l’occasione dal 29 gennaio al 5 aprile negli spazi di Renata Fabbri. Il primo Dormiveglia-Assopimento (2022) era stato presentato all’Associazione Barriera di Torino, mentre il secondo Fulgur da AA29 Art Project (2023). Se a Torino indagava i momenti dell’assopimento, “prima del tuffo nel sonno”, come mi raccontava all’epoca, nella sede milanese il paesaggio straniante era quello del fulmine, che anticipa e succede il temporale.
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L’artista crea delle condizioni “sfavorevoli” per il pubblico, che ignora quanto la zona di confort cui è sottratto durante l’esperienza estetica, rappresenti invece l’occasione per giungere a nuove rilevazioni e disvelamenti. Privandolo dell’udito e abbagliando con una luce forte in Fulgur. In Dormiveglia è l’incomprensione di un testo su teli ricamati dalle donne della sua famiglia (la nonna e la mamma), piuttosto che sculture di bronzo, di argilla cruda e terracotta di varie dimensioni, che si fanno portatori di simboli ancestrali, conducendo lo spettatore in un territorio ignoto, che si inquadra tra la veglia e il sonno.
Una dimensione immaginifica è quella che caratterizza Presentimento, che porta con sé un oscuro presagio. Il sospetto che qualcosa stia per accadere, e la sensazione di turbamento che lo accompagna. Forse siamo in una fase di passaggio “evolutivo” in cui ritrovare un nuovo umano, che sia in grado di “riconoscere qualcosa che non sapevamo di sapere”. Sambo racchiude in questa frase il senso di tutta la sua indagine. Una disposizione richiesta agli individui, il riconoscimento di un sapere, che nulla a che fare con la sua auto celebrata intelligenza, qualità che non gli è esclusiva. Si tratta invece di conoscenze che non si sono ancora affacciate alle finestre della coscienza, e di uno stato di consapevolezza che conduce gli individui in un altrove, per mezzo di quell’insieme di percezioni che rendono l’uomo presente a sé stesso. Nel testo critico di Niccolò Giacomazzi che accompagna la mostra, il riferimento è a un substrato di esperienze vissute tra inconscio personale, collettivo, archetipi e assunti scientifici e specisti, ma superando il concetto di specie stesso.
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Possiamo considerare Presentimento come la gestazione di una nuova idea di umanità possibile, che si realizza nel processo trasformativo che l’incontro con l’ignoto concede. Una condizione che ha a che fare con l’immaginare altre realtà, generate da quell’insieme di saperi cui si riferiva l’artista. Il disegno, medium da lei usato abitualmente per abbozzare l’idea della produzione scultorea, acquisisce all’interno del formato espositivo, una sua qualità di opera definita. Nell’incisione Nodi di luce torna il fulmine di Fulgur o forse una strada, si legge nel testo, a squarciare la bidimensionalità delle nuvole. Una tecnica quella dell’incisione a cera molle con cui l’artista sta lavorando per altri progetti.
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Corpi umani e non umani (animali e vegetali) sono i soggetti dei suoi disegni. Nella presenza solitaria di una donna sdraiata in Perdersi e ruotare, o in nell’incontro specista in Interstizi e collisioni, Sfiori e Radici. Sambo ricorda come la nostra colonna vertebrale sia il risultato di una mimesi con alcuni animali, e di come questo elemento apparentemente delicato e sottile sia in grado di sostenere i corpi, e il loro peso in posizione eretta.
I primati (umani e non umani) tentano un’ibridazione con la vegetazione. I rettili si arrampicano sulla carta o nella scultura di Sogno lucido sospesa nell’ambiente immacolato della galleria. Un bestiario, quello prodotto dall’artista, tra ali di volatili che sembrano annunciare un volo imminente, teste di lupi e umane, lucertole e pesci. Nella produzione scultorea gli elementi di ferro che sostengono le opere, simulano il movimento delle onde in Membrane permeabili e Viaggio a Nauman. Che sia quello tipico del mare, oppure delle oscillazioni del sistema nervoso prodotte durante il sonno, come spiega ancora Niccolò Giacomazzi, sono ripiegate in armoniche sinuosità del materiale.
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La piccola scultura di bronzo, La talpa che diventa tana di sé stessa è poggiata per terra, e quasi nascosta sotto il telo di lino inamidato, tinto nel caffè e ricamato di Fiammifero elettrico, che riporta le memorie della notte dell’artista. Un’opera che sebbene apra il percorso della mostra inserendosi nella prima stanza, rappresenta metaforicamente la chiusura della trilogia, essendo parte del primo episodio presentato a Barriera.
Nelle anatomie delle forme che Matilde Sambo disegna e modella con il materiale, si ritrovano parti invisibili e nascosti come il tessuto muscolare, la pelle e le sue armature, che si tratti di umani o non umani. Recupera la dimensione che si schiude tra lo stato di veglia e il sonno, tra la sensazione di un presagio e l’oscurità di un incubo. Incubo che in questo contesto è inteso nella sua accezione di incubare-incubazione, e quindi generatrice. L’artista ci riporta in uno stato di attesa in cui il Presentimento è quello di “riconoscere qualcosa che non sapevamo di sapere”.