Fino al 18 febbraio 2024, l’ex spazio industriale Pirelli Hangar Bicocca ospita una delle più importanti retrospettive di James Lee Byars, la prima presentata in Italia dalla scomparsa dell’artista. Vicente Todolí, curatore spagnolo che ha preso in carica il progetto allestitivo, nonchè direttore artistico di Hangar Bicocca dal 2012, ha optato per una selezione di opere scultoree emblematiche e installazioni monumentali realizzate dall’artista tra il 1974 e il 1997, anno della sua scomparsa.
James Lee Byars (Detroit 1932 – Il Cairo 1997), è uno dei più importanti artisti interdisciplinari del ventesimo secolo. La sua ricerca indaga il raggiungimento della perfezione, attraverso l’uso di forme geometriche semplici e materiali dal forte carattere simbolico, quali l’oro e il marmo. Altri aspetti fondamentali della sua pratica artistica sono lo studio della condizione umana, l’indagine sull’effimero, la relazione dell’uomo con la morte e la vita e i significati di cui questa è portatrice.
Byars è sempre stato un artista nomade, non ha mai amato la stanzialità, stabilendosi per diversi periodi a Kyoto, New York, Los Angeles, Berlino, Berna, Venezia e Il Cairo, esprimendo così il suo desiderio di essere presente ovunque nel mondo.
Caratteristica interessante di Byars è la multidisciplinarietà, motivo per il quale il suo lavoro non è mai stato ricondotto ad un singolo movimento artistico. Lui stesso si è definito ironicamente “minimalista barocco”, creando una contraddizione in termini paradossale. I suoi lavori spaziano infatti tra ambiti estremamente diversi, coinvolgendo l’arte e la scienza così come la moda e la televisione. Anche la sua formazione ha una natura estremamente variegata. Non solo studia psicologia all’università, ma anche filosofia e arti applicate, avvicinandosi all’arte attraverso azioni informali e mostre.
Dagli anni settanta raggiunge la notorietà di cui ancora oggi è portatore.
Le opere qui presentate non vengono esposte secondo l’ordine cronologico, ma Todolí le organizza secondo l’aspetto coreografico, estremamente importante per l’artista e mantenuto anche in questo allestimento.
Byars ha sempre esposto i suoi lavori in luoghi antichi e carichi di storia, questa specifica retrospettiva è stata quindi una nuova sfida per la curatela, trattandosi l’Hangar di uno spazio industriale. Il carattere contemporaneo di questo luogo ha però garantito un perfetto dialogo, creando una relazione alternativa tra spazio e opere.
In Pirelli Hangar Bicocca alcuni lavori di Byars sono stati riassemblati per la prima volta dal 1983, così com’erano pensati originariamente. Mi riferisco alle opere The Giant Angel with the Human Head e The Devil and His Gifts, entrambe concepite dall’artista come assemblaggi di lavori precedenti con l’obiettivo di creare due installazioni artistiche totali, interamente dedicate alle figure dell’angelo e del diavolo. Quello che rende straordinaria la retrospettiva milanese è proprio l’unicità della composizione delle opere in questione, riportate al loro stato d’origine.
In The Devil and His Gifts la figura del diavolo viene rappresentata attraverso l’opera The Red Devil (1977), parte principale dell’installazione, si tratta di una sagoma semi-umana realizzata con corda rossa, intorno alla quale si riuniscono oggetti di varia natura a rappresentare i doni del diavolo, come lettere dell’artista, cataloghi di mostre e opere, lavori in marmo di piccole dimensioni e di forme variabili. The Giant Angel with the Human Head si sviluppa invece su un tessuto di seta rosa sul quale sono stati posti oggetti vari, a formare una composizione più astratta rispetto alla parallela dedicata al diavolo.
L’obiettivo finale, spiega Vicente Todolí, è che non solo questi lavori ma anche l’intera mostra diventi un’unica installazione totale nella quale ogni opera dialoga con le altre, mantenendo comunque la propria indipendenza spaziale. Il curatore spiega che lo spazio è stato organizzato come se fosse provvisto di stanze invisibili che dividono virtualmente l’ambiente ma che consentono allo stesso tempo un dialogo reciproco tra le singole opere. Secondo Todolí un altro modo di vedere la curatela di questa retrospettiva è dal punto di vista teatrale. Paragona cioè l’allestimento a una sorta di opera teatrale in tre atti. Il primo atto è rappresentato da The Golden Tower (1990), la prima opera esposta nonchè la più imponente mai realizzata da Byars. Si tratta di una colonna di circa 21 metri d’altezza e interamente ricoperta in foglia d’oro. La colonna richiama le forme archetipe utilizzate nelle architetture religiose, come la torre di Babele e i minareti eretti per avvicinarsi al cielo.
Vicente Todolí spiega che il secondo atto viene messo in scena da tutti gli altri lavori esposti subito dopo The Golden Tower, mentre per il terzo ed ultimo atto è stata esposta Red Angel of Marseille (1993), l’opera conclusiva della mostra. La scultura, a cui è dedicata una sala dell’Hangar più intima e raccolta, è composta da mille piccole sfere di vetro rosso, disposte una accanto all’altra così da ricreare la figura antropomorfa di un angelo rubino ma che allo stesso tempo richiama anche un albero in fiore. James Lee Byars ha lavorato assieme ai mastri vetrai di Marsiglia per la realizzazione dell’opera, esprimendo grazie alle qualità di fragilità e trasparenza del vetro, la trascendenza della bellezza. La scelta curatoriale di Todolí di aprire e chiudere la mostra proprio con queste due opere è legata al loro significato simbolico, entrambe protendono infatti al cielo in due diversi modi.