Lo spazio espositivo HUB/ART apre le porte a sei giovani artisti che interpretano, con i loro lavori, il disagio e la fragilità della società contemporanea.
In occasione del prestigioso premio Art Rights Prize, il primo premio d’arte internazionale digitale organizzato dall’Associazione Culturale AB Factory per sostenere gli artisti durante la pandemia, sono stati selezionati 100 finalisti che hanno avuto la possibilità di esporre alcuni lavori in una mostra virtuale in 3D sulla piattaforma LIEU.CITY.
Tra i partner dell’evento HUB/ART Gallery, fucina di idee e sperimentazioni, che ha scelto sei artisti per la realizzazione di una mostra fisica nei propri spazi: Giotto Riva, Federica Poletti, Agata Treccani, e Paolo Treni per la categoria “pittura”, Alex Frost e Fabrizio Narcisi per la “video arte”. Visitabile dal 10 marzo al 15 maggio 2022, la mostra dal titolo “Remember Tomorrow” affronta un tema più che mai attuale ovvero la paura e l’incertezza della condizione umana.
Abbiamo intervistato Greta Zuccali, fondatrice e direttrice di HUB/ART Gallery, per scoprire i retroscena e le motivazioni che hanno portato alla realizzazione del progetto: uno sguardo verso il futuro in un periodo di grandi cambiamenti.
Com’è nata l’idea di questa mostra, frutto della selezione di artisti finalisti del primo premio d’arte digitale Art Rights Prize, e perché è stato scelto il titolo “Remember Tomorrow”? Qual è il messaggio che si intende veicolare?
Il progetto espositivo nasce nell’anno 2020 in occasione del premio Art Rights Prize, organizzato dall’Associazione Culturale AB Factory con il fine di dare la possibilità ad artisti emergenti e affermati di esporre attraverso una mostra virtuale durante il lungo periodo della pandemia.
È proprio l’elemento “virtuale”, la modalità di visita dell’esposizione in rete, ad aver catturato la mia attenzione e ad avermi suggerito il tema di indagine attorno a cui ruota la mostra Remember Tomorrow. Da curatrice/selezionatrice mi sono trovata con il mio piccolo avatar ad accedere alle sale espositive tramite un login e non più tramite un invito o un biglietto. In quelle sale ho percepito tutto il silenzio proprio della realtà virtuale, l’assenza di interazione, scambio, empatia. Il titolo è arrivato di conseguenza pensando a un domani che inevitabilmente sarà stato plasmato dalle scelte fatte ieri. Una memoria di quel devastante periodo che è stato la pandemia che ci ha costretti tutti ad imparare la distanza e soprattutto a praticare la diffidenza nei confronti del prossimo.
Accanto alla dimensione del ricordo si è posta anche la necessità di suggerire la possibilità che risiede nel domani, come luogo del futuro dove tutto può essere ancora costruito. Nello studio della mostra ha molto contribuito anche la lettura del saggio “21 Lezioni sul XXI Secolo” dell’antropologo Yuval Noah Harari, che parla del rischio che l’uomo sta correndo nel divenire irrilevante nella società come conseguenza della rivoluzione digitale.
I 100 finalisti selezionati da Art Rights Prize hanno avuto la possibilità di esporre alcuni dei loro lavori in una mostra virtuale in 3D sulla piattaforma LIEU.CITY. Come cambia il ruolo del curatore in un ambito a metà tra fisico e digitale?
L’impatto della rete è molto forte e rivela allo stesso tempo opportunità e criticità.
Da curatrice considero l’incontro con l’opera d’arte un momento sensoriale molto preciso, sacro direi. Per questo motivo penso che il filtro virtuale vada a modificare inevitabilmente la percezione, azzerandone l’esperienza emotiva. Tuttavia, se devo trovare un aspetto positivo, posso dire che l’avvicinamento a un’opera in un ambiente asettico come quello digitale permette maggiore oggettività, assenza di distrazioni date da elementi esterni. In ambiente digitale si rafforza il senso della vista a discapito di altri sensi quali l’udito o il tatto, quelli che contribuiscono a restituire quelle sensazioni “a pelle” che solo l’incontro reale con l’opera e l’artista possono dare.
Al di là di questo momento, considero i cambiamenti del settore dell’arte scaturiti proprio dalla contingenza dei lockdown e della pandemia, motivo per generare nuovi approcci e nuovi dialoghi, fondamentali nel settore artistico. Per le nuove generazioni, inoltre, il digitale è una caratteristica ormai fondamentale ed è giusto che la creazione di mondi virtuali apra alle infinite possibilità e applicazioni della creatività.
Quali sono stati i criteri/parametri di selezione degli artisti? Cosa ti ha colpita maggiormente di ognuna delle sei opere selezionate?
Tra più di cento artisti, è stato fondamentale fissare un criterio di selezione e portarlo avanti avendo già a mente l’esposizione che si sarebbe voluta realizzare in ambiente fisico. Ho quindi guardato a quegli artisti che con il loro lavoro sono riusciti a comunicare il malessere dell’uomo imprigionato nel web. In questo senso considero fondamentale l’opera di Fabrizio Narcisi, che con il suo studio di figure attraverso la quarta dimensione, ci scuote in sensazioni di paura e ci chiede che cosa vogliamo diventare come specie umana. Da lì a cascata arrivano le opere di Agata Treccani, Federica Poletti, Giotto Riva e Alex Frost, caratterizzate da ambienti cupi e atmosfere sospese. Ho voluto poi offrire uno spiraglio di speranza con il lavoro di Paolo Treni che si nutre di luce. I suoi lavori – sempre giocati sull’ambiguità percettiva – amplificano lo spazio tramite riflessi e variazioni dello spettro cromatico, elevando l’opera alla terza dimensione e raggiungendo la sintesi fra materialità e immaterialità e quindi tra realtà e virtuale.
Che momento sta vivendo l’arte in generale?
L’arte riflette il presente, le sue ambiguità e le sue contraddizioni. Il nostro presente è sicuramente instabile e destabilizzante, usciamo da due anni di pandemia e restrizioni e abbiamo di fronte scenari di guerra, altra sofferenza, altre preoccupazioni.
Sono abbastanza delusa. Sono cresciuta pensando che l’arte fosse un linguaggio libero, in grado di insegnarci a metterci nei panni degli altri per avere una visione tollerante delle diversità presenti nella società.
Ritengo che si stia invece vivendo un momento di forte oppressione e proprio per questo motivo i protagonisti del settore dell’arte abbiano poco coraggio nel denunciare storture o scelte non sempre logiche. Vedo l’arte appiattita e divenuta amplificatore di battaglie “giuste” per il mainstream, per le tv, piuttosto che strumento di resistenza e di manifestazione pacifica di dissenso. Non vedo slanci creativi veramente costruttivi, solo azioni “allineate” a battaglie precostituite. Spero che questo sia solo un momento passeggero.
La pandemia ha favorito la digitalizzazione anche in ambito artistico. Credi che quando la situazione tornerà alla “normalità” si continuerà a percorrere questa strada o si preferirà tornare al tradizionale mondo fisico?
Ricordo il brusco arresto delle attività dovuto al primo lockdown e poi la corsa alla condivisione online nei momenti successivi, con un proliferare di iniziative e incontri. Credo che quel momento ci abbia insegnato a valorizzare il tempo e la riscoperta del digitale inteso come rete, evidenziandone la capacità connettiva e laboratoriale. Ci siamo resi conto del divario tra due dimensioni, quella fisica e quella virtuale, e quanto sia necessario trovare un punto di incontro.
Sono assolutamente sostenitrice dell’esperienza reale e quindi spero che l’online non prenda il sopravvento sullo spazio fisico, ma non posso e non voglio ignorare il fatto che internet non sia solo un corollario ma anche uno spazio di relazione e un’opportunità che vada ampliata e utilizzata come strumento per raggiungere un pubblico più ampio.
Dopo una fase di lungo isolamento la riapertura dei luoghi della cultura ha consentito di recuperare il “contatto” con le opere d’arte e di instaurare con queste ultime una relazione più intima e profonda. Come può contribuire l’arte nella creazione del futuro, tra innovazione e sostenibilità, ed aprire un nuovo scenario?
Parlando di nuovi scenari non posso non pensare agli NFT e con questi all’emersione di nuovi mercati, nuovi artisti, nuovi collezionisti e anche nuovi modi di collezionare. Possiamo parlare di innovazione e sostenibilità nel momento in cui nuove modalità espositive abbatteranno i costi ambientali dovuti al trasporto delle opere d’arte tuttavia controbilanciati, se non addirittura annullati, dall’enorme richiesta energetica causata dall’estrazione di un solo Nft. Ritengo quindi che l’unico scenario possibile sia quello in cui si mantenga un giusto equilibrio fra realtà e digitale, potenziando come già detto, le mancanze della realtà per creare nuove opportunità e nuovi dialoghi nella rete.
Cover Photo Credits: Federica Poletti – Courtesy HUB ART